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Relazione tra empowerment e potere

Nella letteratura che utilizza il costrutto di empowerment, il potere è in genere definito in termini relazionali e considerato un’esperienza interpersonale a carattere esistenziale, universale, inevitabile e pervasiva della vita sociale di tutti gli esseri umani. 
Concezioni di potere enucleate da LUKES: 
» Mobilitazione di risorse scarse e critiche 
» Controllo dei processi decisionali 
» Gestione dei sistemi di significati che modellano le cognizioni e le scelte degli attori 
HARDY e LEIBA O’SULLIVAN ne aggiungono una quarta » Potere incorporato indissolubilmente all’interno delle relazioni interpersonali di attori che entrano in conflitto nella dinamica relazionale, ma anche, molto più invisibilmente, all’interno dei processi di costruzione dell’identità dei soggetti, attraverso la famiglia, la scuola, la chiesa, lo stato e le sue leggi. È il potere che influenza ciò che vediamo e come vediamo, ciò che pensiamo e come pensiamo, limitando così le capacità di resistenza, facendo accettare il ruolo che si occupa nella società, visto come “naturale” e “inevitabile”. Le due autrici fanno una distinzione tra l’empowerment ORGANIZZATIVO e quello SOCIO-POLITICO di comunità. 
» Nei lavori sull’empowerment a carattere organizzativo/manageriale, il potere è declinato prevalentemente con riferimento alle prime due dimensioni del potere è così che i processi di empowerment si traducono nel trasferimento di risorse scarse o critiche e nell’accesso ai processi decisionali. 
» All’interno, invece, dei processi di empowerment sociopolitico di comunità, sono prevalentemente assunte la terza e la quarta dimensione del potere l’empowerment si rivolge, infatti a soggetti svantaggiati, o a rischio di svantaggio, nel tentativo di contrastare le relazioni di potere esistenti, ridurre la subordinazione nei confronti dei gruppi più potenti, ciò che può avvenire solo attraverso il lavoro di rielaborazione dei significati che producono la consapevolezza politica delle forze da cui gli individui possono essere o sentirsi oppressi. 
KREISBERG sostiene che le teorie dell’empowerment, impegnate nel rimuovere le condizioni di POWERLESSNESS, non possono che respingere i modelli di relazione basati sulla dominazione, per puntare invece sulle forme di collaborazione e di partecipazione, auspicando una redistribuzione più equa delle risorse e cercando di accrescere le capacità di partecipazione. All’interno di questa visione non si parla di potere in termini negativi, anzi, esso è visto nei suoi aspetti positivi, creativi. È declinato quale capacità relazionale reciproca, nei termini di POTERE CON piuttosto che di POTERE SU. Kreisberg vede il potere all’interno di un’azione in comune, nell’ambito di uno sviluppo congiunto e di una relazione reciproca, anche se non simmetrica, in cui si giocano i diversi gradi di libertà degli individui nessuno è totalmente libero, nessuno è totalmente determinato, la dipendenza è in qualche misura reciproca. IL POTERE È LETTO NEI TERMINI di CAPACITÀ di AZIONE, di MOBILITARE le RISORSE, di OTTENERE e UTILIZZARE CIÒ che è INDISPENSABILE per MANTENERE o FAR EVOLVERE i SISTEMI SOCIALI ORGANIZZATI nei QUALI gli ATTORI SONO IMPEGNATI. 
Nello stesso senso si attua anche la concezione del potere di WILLIAM TORBERT (“Il potere dell’equilibrio”) » una concezione che possiamo definire intersoggettiva ed interazionista. Torbert ci propone la “faccia buona” del potere, quello che si crea e si moltiplica, non quello che viene elargito o sottratto; quello che accresce le possibilità di espressività individuale, non quello che limita la libertà personale inteso quindi come risorsa di cooperazione e di scambio tra pari. È il potere che non nega le conflittualità, le opposizioni e le polarità, ma che intende trascenderle, cercando la reciprocità e l’armonia, e non la pace a tutti i costi, senza produrre guerra né dominio di una parte sull’altra. L’autore riconosce l’esistenza di un’attività politica nelle organizzazioni cui è sostanzialmente attribuito un connotato negativo. Essa è infatti caratterizzata da manipolazione, intimidazione e gestione dell’informazione e della relazione a proprio vantaggio, attenzione concentrata sulle aspettative delle autorità superiori per averne l’approvazione, cautela nel dire la verità e ciò che si pensa, richiesta maggiorata di risorse per assicurarsi l’ottenimento di quelle necessarie, e così via. A tale attività viene contrapposta una diversa possibile attività, anch’essa definita “politica”, che intende rappresentare un uso positivo del potere, caratterizzata da queste strategie » acquisire il livello più alto possibile di conoscenze in relazione al proprio lavoro (la conoscenza è potere vivificante), essere l’autorità di se stessi dicendo la verità e preservando la propria e l’altrui dignità, impegnarsi in attività significative ed effettivamente necessarie ammettendo gli errori propri ed altrui e affrontandoli assumendosi le proprie responsabilità, non aggredire, non essere arroganti né subire passivamente. Quella che Torbert ci propone è una concezione del potere organizzativo fondata sull’idea di una collettività più giusta e sullo sviluppo pieno della persona, nell’ambito di un’organizzazione ideale i cui membri esercitano il POTERE DELL’EQUILIBRIO, non l’equilibrio del potere. Solo questa organizzazione può essere empowering. Il potere dell’equilibrio (contrapposto all’equilibrio del potere) è il potere esercitato da un manager o leader in grado di creare un sistema organizzativo autocorrettivo, capace di apprendimento continuo » questo significa instaurare una cultura di “pari”, cioè costruire e mantenere relazioni improntate a mutualità e reciprocità, coinvolgimento, sfida comune, gestione delle contraddizioni e della conflittualità. Sviluppare gli individui a livello personale e morale significa riconoscere i diversi stadi di sviluppo dell’uomo e specificare a quale deve sforzarsi di pervenire il leader per esercitare il potere dell’equilibrio. Gli stadi identificati da Torbert sono sette e a ciascuno di essi corrisponde un diverso tipo di potere. 
» stadio opportunistico, fondato sull'obbedienza cioè di chi rispetta gli ordini per guadagnare stima 
» stadio diplomatico cioè il consenso è ottenuto sulla base di uno scambio di interessi 
» stadio tecnico ove il potere è esercitato mediante strategia di persuasione (argomentazioni logiche ecc.) 
» stadio realizzativo che raggruppa i precedenti. 
» alle ultime tre fasi è associato il POTERE TRASFORMATIVO DELL’EQUILIBRIO e sono: 
» fase strategica capacità di cogliere nel presente i cambiamenti di valore futuri 
» fase magica, capacità di vedere ed esprimere ciò che impedisce lo sviluppo nella direzione strategica voluta 
» fase ironica cioè la capacità di andare in quella direzione sino all'ironia di dover forzare le persone ad essere libere. 
La concezione del potere di coloro che abbiamo scelto come rappresentanti di una teoria dell’empowerment in grado di offrire un contributo innovativo al dibattito sul potere, presenta i classici limiti di chi vuole offrire una visione idealista, l’annuncio un po’ utopico di una buona novella futura che si contrappone ad un presente duro. Al potere della soggezione viene contrapposto il potere buono dell’empowerment, il potere che proietta l’affetto e l’amore sulle cose o il desiderio dello sviluppo dell’altro; al potere senza salvezza per nessuno (sia per chi lo esercita sia per chi lo subisce) è contrapposto il potere che salva, che libera se stessi e l’altro » in modo magico, per illuminazione, per ispirazione o per identificazione. Ingenuità o sana illusione della cultura americana, più capace di razionalizzazioni consolatorie che di tragiche analisi realisticamente drammatiche? In ogni caso per noi, che una cultura diversa ha abituato anche a fare i conti con la “faccia brutta” del potere, resta il senso di un impegno con il quale la psicologia di comunità può confrontarsi. 

Tratto da LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ di Ivan Ferrero
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