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Pubblicità e Barthes. Messaggio letterale, associato e dichiarato


Questi tre messaggi sono equivalenti, e vengono letti contemporaneamente. Il secondo messaggio è quello più importante, poiché, come un ponte, stabilisce una relazione fra l’immagine letterale e il prodotto; è questo il centro del messaggio pubblicitario, e per elaborarlo il pubblicitario dispone di due figure (individuate da Roman Jakobson): la metafora e la metonimia. Nella metafora si sostituisce un significante con un altro, a fronte di uno stesso significato; nella pubblicità per metafora è sempre possibile poter ristabilire il primo termine di paragone. Esistono talvolta metafore rovesciate, quando un attributo del prodotto viene significato, paradossalmente, dal suo contrario (è il caso di tanta pubblicità per la Volkswagen). In campo pubblicitario è abbastanza rara, al contrario della metonimia, su cui si basa la maggior parte dei messaggi pubblicitari; questa di basa su una sostituzione di senso per contiguità: quando siamo abituati ad associare naturalmente due oggetti, perché nel senso comune uno sta per l’altro, cioè lo significa. La forma più comune di metonimia è la sineddoche, in cui il tutto sta per la parte e viceversa; ricordiamo che mentre la metafora agisce a livello paradigmatico, in absentia (uno dei due termini non compare), la metonimia agisce a livello sintagmatico, in praesentia (anche per questo è più efficace, poiché sono necessarie minori competenze decodificative). La metonimia ha successo perché spesso, desiderando l’oggetto associato al prodotto, si desidera il prodotto stesso (bella donna ecc).
L’immaginario Questo linguaggio pubblicitario così descritto ha due funzioni: comunicare il movente dell’annuncio e tutti i suoi attributi, e creare un immaginario, attraverso il quale i fruitori del messaggio esercitano la loro psicologia.
Il linguaggio euforico ed eufemico della pubblicità dispone di un immaginario rasserenante, che trae alimento da tre grandi riserve: il repertorio dei soggetti antropologici, ovvero schemi di classificazione che la società assume per affrontare il mondo (la vita, il sesso, la famiglia, il lavoro) e che diventano presto degli stereotipi; gli oggetti, attributi di cui questi soggetti possono essere provvisti, e che usano nella vita quotidiana: possono essere realistici oppure sovra connotati, onirici, ma in entrambi i casi forniscono all’individuo una finestra sul mondo; infine vi sono i simboli culturali: la pubblicità con questi simboli attinge dall’immaginario collettivo, al nostro sapere e al nostro passato.
Il corpo Il corpo umano è il motivo che il pubblicità ricorre con maggior frequenza; il più delle volte, per questo motivo, si è parlato di erotismo pubblicitario, ma l’autore vede questa tesi esagerata: le rappresentazioni di belle donne e uomini virili, talvolta anche svestiti, sono il segno dell’erotismo, e non l’erotismo in sé, e non vanno oltre i limiti dell’eufemia pubblicitaria, che impone di fornire allo spettatore una rappresentazione del mondo piacevole e confortevole.
Il vero erotismo consiste invece nel corpo parziale, frammentato, di cui soltanto alcune parti sono significanti; ma il corpo erotico non è mai quello tutto intero; le tracce dell’erotismo vanno allora ricercate nel feticismo.
L’ironia L’uomo dei nostri giorni possiede tutti gli strumenti per comprendere il linguaggio pubblicitario, ma non per parlarlo; attraverso i collage, i tagli, le composizioni della pop art, le deformazioni dei manifesti pubblicitari, allora, il pubblico cerca di appropriarsi del messaggio pubblicitario, di falsificarlo, di dargli nuova forma. Questo plagio, che significa libertà, costituisce un atto di profonda ironia, che è il solo modo per parlare la lingua della pubblicità.

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