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Le regole fondamentali della comunitá politica


1.26 Fondamentale è l’eguaglianza, cioè la possibilità di partecipare alla vita politica e di ricoprire certe cariche. Guicciardini riconosce il rischio dell’eccessiva continuità del potere nelle stesse mani, e quindi formula una teoria di osmosi sociale che garantisca la massima partecipazione possibile alla vita pubblica (e quindi un certo mutamento) pur entro un solco di continuità che sia garante degli affari più ardui (un Senato sul modello della Camera dei Lord, composto dal fior fiore degli uomini della città).

1.29 Guicciardini rifiuta tanto il dispotismo quanto il populismo, e dunque, con Tocqueville, la demagogia delle democrazie di massa. È contrario all’esperienza democratica ateniese (“meramente populare”) mentre apprezza quella romana (con un giusto bilanciamento tra elemento democratico e aristocratico, un sistema rispettoso ed efficiente), segnata da continuità e apertura al nuovo nello stesso tempo.

1.30 Guicciardini vede nella vita politica un gioco di pesi e contrappesi volto a evitare che qualcuno prenda troppo potere e, soprattutto, volto a contrastare la fuga delle intelligenze: gli spiriti più onesti, grandi e ambiziosi devono avere la possibilità di agire e di compiere grandi cose. Si determina una divisione del potere che non può essere improvvisata, ma che nelle città italiane non dovrebbe essere di difficile attuazione.

1.31 La giustizia non esiste nei sistemi dispotici, ma è messa a dura prova anche nei sistemi popolari: dispotismo e populismo non hanno la prudenza necessaria a salvaguardare libertà e sicurezza.

1.32 Quando una personalità carismatica si procura l’appoggio del popolo con misure demagogiche, si ha un connubio tra populismo e dispotismo che, il più delle volte, ha portato a esiti negativi. Perciò, l’elezione di alcune cariche (gonfaloniere) deve essere sottratta al popolo e affidata a un Consiglio Grande (Senato + elemento popolare).

1.34 Una grande Repubblica deve muovere i cittadini a ricercare le virtù, non il loro contrario, e a produrre grandi opere (idea anche di Montesquieu). Il richiamo alla virtù e alla libertà deve essere prima di tutto frutto di un ordine interiore degli uomini, senza il quale non è possibile nessun ordine esteriore.

1.36 Dopo Guicciardini, altri pensatori parlarono di un uomo libero per natura e capace di maturare solo in condizioni di socialità. Estienne de la Boétie parla della servitù volontaria: è la condizione in cui gli uomini, per una serie di circostanze storiche, hanno perso il loro anelito alla libertà e, rassegnati, accettano passivamente la presenza di un tiranno, cosicché la vera natura dell’uomo non è più la libertà, ma la schiavitù basata su un sistema di obbedienza che il tiranno costruisce e da cui è difficile evadere.

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