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La fidelitas eporediese per Vercelli


Uno degli esempi più noti è quello relativo a Ivrea  e Vercelli. Il documento più antico risale al 1141, gli anni in cui è attestata la prima organizzazione comunale di Vercelli: un certo Guglielmo di Mercenasco cede ad uno dei consoli, nella qualità di rappresentante totius universitatis, la sua porzione del castello di Sant'Urbano, riottenendola come vassallo del Comune, obbligato al cittadinatico e a tenere a disposizione il castello a uso e consumo dei vercellesi e di scendere in guerra al loro fianco su richiesta dei consoli. Un anno dopo, il 12 luglio 1142, i signori di Bollengo (attiguo ad Ivrea) cedono al comune la loro parte del castello omonimo ricevendolo di nuovo con le medesime clausole.
È chiaro come in entrambi i casi l'uso del feudo oblato era servito ai vercellesi per assicurare la loro estensione nella zona di influenza che era attenzionata anche dagli eporediesi, che rischiavano di minacciare i possedimenti dei signori del Castello di Sant'Urbano e di Bollengo.
In un quadro politico mutato, risalente più o meno al 1170, il potente comune di Vercelli decide di investire la comunità di Ivrea dei due castelli e due atti di conferma, uno del 1181 e uno del 1192 chiariscono cosa comportasse ciò. Con il giuramento del 1181 gli eporediesi si riconoscevano, in cambio della concessione feudale, vassalli dei Vercellesi non solo limitatamente ai due castelli ma  contro tutti gli aggressori che non fossero imperatore e il vescovo. Con il giuramento del 1192 si chiedeva un impegno più stringente degli eporediesi nelle operazioni condotte dai vercellesi in tempo di guerra. Dunque il comune di Vercelli ha approfittato della condizione di debolezza degli eporediesi per assumere una posizione di supremazia. Nella seconda metà del 1200 Vercelli lascerà cadere l'antico e ormai inutile modello vassallatico per regolare i rapporti secondo il più moderno modo dell'accordo pattizio tra istituzioni pubbliche di tipo statale.

Tratto da LA VALLE D'AGRÒ di Gherardo Fabretti
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