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Uno sguardo generale su Vertigo


Tutti conoscono Hitchcock. Molti conoscono Vertigo. Difficile non rimanerne affascinati. E analizzandolo se ne rimane rapiti ancor più. È un vertiginoso percorso attraverso le menti e le paure umane. Per questo motivo desidero mostrare come la grandezza di questo capolavoro non sia dovuto soltanto all’intrigante trama ma anche alla magistrale direzione di un regista coadiuvato da eccellenti collaboratori. Perché le scelte di Hitchcock non sono certo casuali né fortuite. La struttura stessa del film, al di là del racconto, è densa di simboli e metafore, rimanda ogni istante al titolo, Vertigo. Vertigine quindi.  Ed è quello che percepiamo anche noi guardando la pellicola, quasi un celato desiderio di provare quello che si prova cadendo nell’oblio. Oblio dell’amore forse. Oblio della paura. Il film si costituisce così come una complessa macchinazione di elementi intrappolati l’uno dentro l’altro, un fine meccanismo che si sviluppa lentamente. Un sogno forse, infatti lo spettatore è posto nel costante dubbio se ciò che si vede sia realtà o fantasia (sogno appunto). E se, nella prima parte, lo spettatore, che si identifica con il personaggio principale (Scottie), gode di questa incertezza, nella seconda unità, grazie ad un flashback, diviene consapevole della realtà dei fatti. E così viene a ricoprire un ruolo privilegiato, la sua percezione della realtà cambia e il meccanismo della suspense si diffonde nel film.
Andremo quindi ad osservare ed analizzare i temi portanti del film (il doppio, la spirale, la vertigine, la donna, il tempo, etc..) nonché i simboli e le metafore attraverso i quali emergono.
Vertigo è quasi una fiaba gotica, una spirale di spazio e tempo a San Francisco, alla ricerca di una felicità che è falsità e, per questo, irraggiungibile nel presente.

Utilizzerò il titolo originale, Vertigo, per l’evidente minor densità di significati e ambiguità del titolo italiano, La donna che visse due volte. Il film viene diretto da Alfred Hitchcock nel 1958, è tratto dal romanzo francese D'entre les Mortes di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, del quale vennero acquistati i diritti per circa ventimila dollari. Venne sceneggiato da Alec Coppel e Samuel Taylor, ma la sceneggiatura ha una storia più tormentata, infatti venne scritta tre volte. La musica è di Bernard Herrmann1, diretta da Muir Mathieson con la London Simphony e la Vienna Philarmonic. Mentre i famosi titoli introduttivi sono di  Saul Bass. Ma di questo parlerò più avanti.

Riporto brevemente la trama. John Scottie Ferguson (James Stewart) è un ex-poliziotto che soffre di vertigini. Durante un inseguimento sui tetti, un suo collega aveva perso la vita nel tentativo di salvarlo e lì era nata l’acrofobia. Dimessosi dalla polizia, viene assoldato da un suo vecchio compagno di college, Gavin Elster, per seguire la moglie Madeleine Elster(Kim Novak), che forse crede di essere la reincarnazione di Carlotta Valdez, suicidatasi dopo essere stata abbandonata da un approfittatore. Salvata Madeleine da un tentativo di suicidio al Golden Gate Bridge, Scottie se ne innamora, ricambiato. Per aiutarla e mettere fine alle sue ossessioni la accompagna nei luoghi che la tormentano, ma proprio qui, a San Juan Batista, lei si toglie la vita gettandosi dal campanile della chiesa. E lui, proprio a causa dell’acrofobia, non riesce a fermarla. Dopo un periodo di profonda depressione, sogni allucinanti, e dopo essere stato scagionato da una possibile accusa di omicidio, torna alla quasi normalità. Per le strade di San Francisco incontra Judy Barton, la cui somiglianza con Madeleine è straordinaria. Questa diviene un ossessione per Scottie, il quale convince la donna a divenire la sua Madeleine. E proprio in questo modo scoprirà, a causa di un gioiello, che Judy aveva finto di essere Madeleine, inscenandone la morte per nascondere l’omicidio della vera donna, moglie di Gavin. Costui mirava ad avere come testimone del falso suicidio Scottie ed aveva contato sulla sua fobia per la riuscita del crimine. Nel rivivere il delitto però Judy stessa, nuovamente in cima al campanile, e spaventata da un'ombra, finisce per cadere, questa volta davvero. Come sottolinea Duncan “l’intreccio di amore e morte si ripete in un ciclo infinito e Scottie rimane solo, tormentato dal senso di colpa e dal dolore”.
Si tratta di un film sulla fascinazione per l’abisso. Un film sul ritorno del passato, dove le immagini tornano quasi identiche. È uno studio sull’uomo e sulle sue paure ed incertezze. La Polla al riguardo afferma che “Hitchcock ha una speciale sensibilità per la fragilità dell’individuo, egli sa che dietro alle certezze sociali, al mondo che ci costruiamo attorno come una corazza, sta un centro debole e sperduto che, smascherato, reagisce in modo impaurito ma non per questo inefficace. I suoi giovanotti inseguiti riescono sempre a cavarsela.[…] Talvolta però in lui ha la meglio lo spirito di geometria, la freddezza del costruttore di trame, il distacco professionale dello psicologo, e anche la curiosità del tecnico”.
Il motore che permette all’azione di svolgersi è il tema della caduta, e quindi della vertigine, e tutto ciò viene chiaramente trasposto a livello visivo. Ma è anche una storia d’amore perché il doppio riporta alla ricerca della propria metà mancante, di ciò che può rendere felici. Parla di due solitudini che si incontrano, entrambe manchevoli della stessa cosa. Ma i presupposti di inganno ne impediranno il raggiungimento. Vertigo ha il merito di aver portato in luce tematiche e problematiche come quella del doppio e sopratutto quella del tempo, in un periodo che forse non era ancora preparato per tali concetti. Effettivamente quando, l’1 giugno 1958, venne distribuito, non ottenne il consenso di pubblico e critica atteso. Costato 2,5 milioni di dollari, ne guadagnò 3,2 milioni, non molti se accostati agli incassi che saranno di Psycho. Per parecchio tempo il film scomparve dalle sale, per tornarvici nel 1984, riscuotendo il successo lungamente meritato.
Va ricordato come Hitchcock vide inizialmente i dirigenti della Universal opporsi alla sua scelta di svelare l’inganno dei fatti a circa metà pellicola attraverso il flashback mentale di Judy. Tuttavia il regista fece di testa sua e rimase fedele alla suspense, sicuro di una migliore riuscita. Il falshback tende infatti a rompere il legame di identificazione spettatore/protagonista. Secondo la casa di produzione era meglio svelare tutto alla fine, come accadeva nel romanzo, per evitare una perdita di interesse dello spettatore. La profondità di Hitchcock sta proprio nel come riesce a restituirci a livello visivo il racconto. La musica è in questo determinante. E insidia ogni istante, come la vertigine insidia ogni scena.

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