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Il concetto di Nichilismo "attivo" _ Nietzsche_





La metafisica non ci lascia completamente orfani: la sua dissoluzione (la morte di Dio di cui parla Nietzsche) si mostra come un processo dotato di una propria logica a cui si possono attingere anche elementi per una ricostruzione – ci si riferisce a ciò che Nietzsche chiamava nichilismo: che non è solo il nichilismo della dissoluzione di tutti principi e valori, ma è anche, come nichilismo “attivo”, la chance di iniziare una storia diversa.
Se il mondo vero (i primi principi) è diventato favola, scrive Nietzsche, è andata distrutta anche la favola.
La situazione a cui davvero, anzitutto, apparteniamo e verso cui siamo responsabili nelle nostre scelte etiche è quella caratterizzata dalla dissoluzione dei principi, dal nichilismo; assumere invece come riferimento ultimo le appartenenze più specifiche (razziali, etniche, familiari e ecc) vuol dire limitare fin da principio la propria prospettiva. Bisogna attuare un ampliamento di orizzonti.
Se vi vuole corrispondere alla dissoluzione dei principi, non pare esservi altra via che quella di un’etica esplicitamente costruita intorno alla finitezza. Non intesa come esigenza del salto nell’infinito. Infatti, molti esiti religiosi del pensiero novecentesco si argomentano così: il riconoscimento della finitezza prepara il salto nella fede, quindi solo un Dio ci può salvare. Invece, un’etica della finitezza è quella che cerca di restare fedele alla scoperta della collocazione sempre insuperabilmente finita della propria provenienza senza dimenticare le implicazioni pluralistiche di questa scoperta.
Bisogna anche operare una scelta tra ciò che vale e ciò che non vale dell’eredità culturale da cui proveniamo. Tale scelta deve essere fatta in base al criterio della riduzione della violenza e in nome di una razionalità intesa come discorso-dialogo tra posizioni finite che si riconoscono come tali, e che perciò non hanno la tentazione di imporsi legittimamente (in quanto convalidate da un principio primo) su quelle altrui.
È l’esclusione di questa violenza che si crede legittima – e l’esclusione di qualunque violenza identificata con l’interruzione del domandare, con il tacitamento autoritario dell’altro in nome dei principi primi – il senso complessivo di quest’etica della finitezza.
Nell’etica della finitezza il rispetto dell’altro non è neanche remotamente fondato sul presupposto che egli sia portatore della ragione umana uguale in tutti; principio da cui discende anche l’implicazione pedagogico - autoritaria di ascoltare le ragioni dell’altro, ma preoccupandosi prima di garantire che non siano manipolate. Rispetto dell’altro è soprattutto riconoscimento della finitezza che ci caratterizza entrambi, e che esclude ogni superamento definitivo dell’opacità che ognuno porta con sé.

Tratto da LE CORRENTI DI PENSIERO CONTEMPORANEE di Gabriella Galbiati
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