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L'erosione del divieto dell'uso della forza


L'articolo 2.4 della Carta impone il divieto della minaccia e dell'uso della forza nelle relazioni internazionali, una norma che è ben presto diventata consuetudinaria vincolante l'intera comunità internazionale. Nonostante gli sforzi precedenti è solo con la Carta che il divieto di muovere guerra diventa assoluto e si trasforma nella più generale proibizione dell'uso della forza. Rinuncia che è bilanciata dalla creazione di un sistema di sicurezza collettiva incentrato sul Consiglio e sulle sue competenze in base al capitolo VII. Sono comprese anche le azioni di bassa intensità. Le uniche eccezioni sono le misure ex capitolo VII e la legittima difesa in caso di attacco armato (non comprende dunque tutte le violazioni ex articolo 2.4) ex articolo 51. La natura consuetudinaria della norma ha fatto sì che non abbiano mai veramente attecchito i tentativi di abrogazione o sospensione né quelli di ampliamento del campo di applicazione del 2.4 (fino a comprendervi la forza di tipo economico degli embarghi).
Nonostante ciò l'articolo 2.4 è stato ripetutamente violato e fino all'ultimo decennio del XX secolo l'architettura fondata sull'articolo 2.4 è rimasta immutata perché le violazioni non hanno fatto venir meno il consenso sui principi. Oggi invece sembra essersi avviato un processo di revisione comportante una progressiva erosione del divieto dell'uso della forza → intervento NATO in Kosovo a difesa degli albanesi e contro il regime di Belgrado (1999): questa campagna non ottenne l'autorizzazione del Consiglio ONU; i paesi, Italia compresa, invocarono un diritto di intervento umanitario secondo cui gli stati potrebbero usare la forza per porre fine a gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali non represse adeguatamente dalle autorità di governo. Non era la prima volta che si invocava questo tipo di diritto → ad esempio ingerenza umanitaria invocata nella creazione del Kurdistan contro lo sterminio di Saddam dei curdi, azione senza copertura ONU che vide una partecipazione piuttosto generale e una diminuzione delle condanne e delle opposizioni a queste azioni. Si può dire che l'intervento in Kosovo fu però quello con più appoggio, partecipazione. Secondo alcuni il processo di formazione di una norma consuetudinaria sull'uso della forza per ingerenza umanitaria è allo stato avanzato, idea condivisa da Annan e addirittura codificata dall'Unione Africana.
Il divieto dell'uso della forza viene messo in discussione anche dalle nuove tendenze in materia di legittima difesa preventiva → ricorso alla forza visto come strumento per poter fronteggiare nuove tipologie di minacce, terrorismo internazionale in primis. La questione chiave è il rapporto temporale tra un attacco armato e la risposta a titolo di legittima difesa ex articolo 51. Tradizionalmente il ricorso alla forza è considerato legittimo solo in caso di attacco in corso oppure di immediata minaccia di attacco, interpretazione che tendeva a escludere la possibilità di difesa preventiva contro ad esempio lo sviluppo di capacità offensive da parte di un paese nemico, il caso scuola è rappresentato dall'attacco israeliano al reattore iracheno nel 1981, azione presentata dagli israeliani come legittima difesa (condanna unanime più risoluzione di condanna). Nel settembre 2002 Bush presentava un documento sulla strategia di sicurezza nazionale, in cui per la prima volta si asseriva in modo netto il diritto di agire in maniera preventiva contro minacce alla propria sicurezza nazionale, in particolare contro l'uso potenziale delle armi di distruzione di massa → al di là di questo documento l'amministrazione Usa ha fatto di questo principio un cardine della propria politica di sicurezza (vedi Iraq) → reazioni diverse tra riluttanza di alcuni paesi europei, condanna Panel ONU (no a reinterpretazioni dell'articolo 51 sarebbe come ammettere tutto), reazione indiana “eh, allora lo posso fare pure iooo!”.
È innegabile comunque che i principi sull'uso della forza nel sistema di sicurezza collettiva così come concepiti dai fondatori ONU stanno attraversando una profonda crisi.

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