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Arte e pubblicità. Opinioni di Vittorini e Munari


Una testimonianza di questa linea è rappresentata da un breve scritto di Elio Vittorini, che, sollecitato dall’amico poeta Sinisgalli, presenta i manifesti della campagna Olivetti per la macchina da scrivere Studio 42. La campagna è divenuta celebre per la sua raffinatezza grafica e le invenzioni sorprendenti, come la rosa dentro al calamaio, o la farfalla che esce dalla macchina da scrivere; secondo lo scrittore bisogna passare da una pubblicità di quantità a una di qualità. Il pubblicitario deve dimenticare il fine commerciale di un messaggio, e cercare di creare qualcosa di artistico; non deve essere un dogma, qualcosa da imporre al consumatore, ma bensì un invito.
Il fotografo e grafico Antonio Boggeri sostiene che solo le pubblicità di alto livello formale incutono rispetto, catturano l’attenzione e inducono all’acquisto. Il critico d’arte Gillo Dorfles elogia le campagne che non hanno un tono aggressivo, ma bensì contribuiscono ad educare artisticamente le masse. Bruno Munari invita gli artisti dell’epoca a sporcarsi le mani, scendere dal piedistallo e “progettare l’insegna del macellaio”; l’arte deve tornare ad essere un mestiere, si deve abbandonare il concetto di arte pura e fine a sé stessa. Il pubblicitario al giorno d’oggi, però, è divenuto, da creativo, una figura avvolta da un alone di divismo, che eredita alcuni caratteri degli intellettuali e artisti di un tempo.

Tratto da LETTERATURA E PUBBLICITÀ di Mario Turco
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