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Calende Greche e l'itinerario autoterapeutico di Bufalino


L'itinerario autoterapeutico bufaliniano sembrava concludersi con Calende Greche, dove sembrava esorcizzare i fantasmi liberati in Diceria librandoli sospesi in un'opera interamente in fieri. E invece no. Bufalino riavvolge il nastro con Tommaso e il fotografo cieco, dove scrittura, soluzione di un giallo, malattia e claustrofilia si intersecano in un emblematico e spiazzante gioco di scatole cinesi.

Qui però la malattia non concede più nemmeno di essere usata come vendetta o elezione da parte di un dio. Non si riscatta il proprio stigma nella divinazione alla Tiresia, ma in una sterile riproduzione meccanica di quella squallida realtà che lui non riesce a vedere, la degradazione della dea del mito che Tiresia aveva visto nuda. E anche la malattia subisce la medesima degradazione, col condomino Crisafulli la cui trasognata follia diverte solo l'innocenza delle sorelle infermiere. L'eccezionalità del mondo della Rocca, poi, si rovescia nella prosaicità della vita condominiale. A Tommaso rimane solo lo scrivere, scrivere stavolta di futuro fingendo di raccontare il passato; un gioco di inganni narrativi nel tentativo di eludere, almeno una volta, il più inattaccabile dei mali bufaliniani, masochisticamente corteggiato e custodito senza alcuna volontà di guarigione.

Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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