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La finzione di Qui pro quo - Bufalino -


In Qui pro quo è forte la base popperiana, la sua teoria sui controlli alla ricerca di smentite che rimettano improvvisamente tutto in gioco. È un piacere che Bufalino condivide. Lo scrittore qui tende a farsi sempre più personaggio inventato, disseminando gli indizi della propria presenza sotto la maschera della protagonista investigatrice, aspirante scrittrice, così come sotto quella della vittima, regista e puparo tanto dell'omicidio quanto dell'indagine, in una sorta di umoristico pirandellismo straniato, significativamente evocato sin dall'apertura del racconto attraverso il riferimento a quel pascaliano naso di Cleopatra su cui si chiudeva il manifesto della poetica pirandelliana. Per Bufalino, Agatha Esther è del resto chiaramente un personaggio autocitatorio, al quale il commissario Currò rimprovera non a caso di leggere troppi romanzi ed è lei stessa a confermare e smentire l'inganno letterario di cui tutti sono interpreti, anche se la narratrice è vittima all'interno della storia degli inganni perpetrati, sempre attraverso la scrittura della presunta vittima Medardo Aquila, alter ego della scrittrice e dell'autore Bufalino. Sbalestrata dalle di lui postume e progressivamente contraddittorie rivelazioni epistolari sul suo stesso omicidio, Agatha vede trascolorarne l'immagine da innamorante e narcistico doppio a ennesimo simulacro di tristo burattinaio, riattingendo al consueto repertorio delle metafore teatrali alle quali aveva del resto fatto ricorso anche il burlone Medardo epistolografo. Le sue lettere postume, in cui di volta in volta rimette in discussione gli impianti accusatori da lui stesso costruiti, ora contro l'uno contro un altro degli indiziati, non sono del resto che una riproposizione in chiave di burla del procedimento popperiano secondo il quale un'ipotesi è confermata fino al momento in cui non se ne riscontra la falsificabilità. Solo che qui il demistificatore è lo stesso falsificatore di ipotesi minate in partenza, inventate dalla sua fervida e malevola immaginazione, in una nuova metafora del processo scrittorio che si avvolge su sé stesso, fino a spingere Agatha alla surreale conclusione che il colpevole non è altri che la vittima in una morte per suicidio da lui truccata da arte da omicidio. Una soluzione valida solo fino al comparire di una nuova busta di Medardo, ennesima dimostrazione della falsificabilità di qualsiasi conclusione, che Agatha, creatura del mondo della finzione e non di quello verificabile del reale, decide comunque, stufa, di gettare in mare senza conoscerne il contenuto.

Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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