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Lo stampo letteraro del giornalismo di Bufalino



Una vocazione al privato, snobisticamente impegnata la sua. Ciò  non vuol dire che per un uomo di lettere la collaborazione giornalistica non sia sempre e comunque un momento di contatto diretto con la realtà che sta al di fuori dei confini letterari, con un pubblico vasto ed eterogeneo che magari non leggerà mai le opere; rimane in ogni caso un momento di discesa dalla torre, di rinuncia alla durevole e in sé compiuta forma del libro per mettersi in gioco con un paio di colonne nella babele comunicativa rappresentata da ogni quotidiano. Ma è un gioco sempre autoreferenziale: il giornale come cassa di risonanza di una poetica coerentemente e saldamente concentrata sugli stessi temi. Se l'elzeviro è per sua natura una forma di scrittura comunque colta, personale, letteraria, in Bufalino essa assume sempre un sapore quasi autarchico, animata dalla convinzione che l'unica condizione vivibile sia quella garantita dalla letteratura, dalla produzione così come dalla fruizione di essa. La sua è la posizione non di chi non vuole vedere ma di chi ha visto già troppo. Il pessimista è un'ottimista che si è informato bene.
Più che amene divagazioni e impressioni su tenui pretesti, o su argomenti letterari, gli elzeviri bufaliniani si presentano come l'ennesimo spazio per un composito autoritratto dell'autore, nonché espressione frammentata ma coerente di quella sua personalissima visione della vita alla luce della letteratura. Sin dallo scritto che viene significativamente scelto come articolo di apertura di Cere perse. Si tratta di un pezzo apparso nell'agosto del 1983 sul Giornale e vinse nel 1984 il premio Flaiano; era allora intitolato Veleni mentali ma poi assunse il titolo di Le ragioni dello scrivere. Ragioni sue personali, è chiaro.

Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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