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Deserto e infinito di Ungaretti

Deserto e infinito di Ungaretti


L'illusione è il miraggio del deserto, possibile come sfida del miracolo che si svela all'uomo. Nell'ultima strofa va notata l'ambiguità del lessico e della sintassi del verso 1, dove all'infinito sembrerebbe una locuzione avverbiale (e grammaticalmente lo è) ma nella sintassi poetica profonda il sintagma è un vero complemento di moto a luogo, quasi a significare “se questo viaggio verso l'infinito durasse”. Ogni viaggio ungarettiano è pascalianamente sostenuto da questa tensione verso l'infinito. La migrazione costante del viaggiatore Ungaretti è verso una terra promessa che coincide con un infinito che è in prospettiva l'infinito della resurrezione dopo la tomba.

La triade deserto – acqua – luce può ben sintetizzare gli elementi radicali del mondo esistenziale – poetico di Ungaretti. Le prose di viaggio vanno viste in un tutt'uno con la poesia che preocorrono in parte, che seguono e che contestualizzano, ma l'orizzonte di prosa e poesia è indifferenziato, è unico. Descrivendo il Tavoliere della Puglia bonificato dall'acqua egli rivede quasi “un Sahara diventato Tivoli” e non vede il risultato di un'operazione ingegnieristica ma una manifestazione di amore dell'uomo per il suo ambiente.

L'amante del sole, l'hanno chiamata i poeti. Egli il sole, la copre di gioie, come s'è visto. Non solo, e subito mi viene incontro l'altro suo simbolo: il fulgore d'uno scheletro, nell'infinito. Quale merito ci sarebbe altrimenti ad addomesticarlo? Sarà perché sono mezzo Affricano, e perché le immagini rimaste impresse da ragazzo sono sempre le più vive, non so immaginarlo se non furente e trionfante su qualche cosa d'annullato. […] Penso con nostalgia che dev'essere uno spettacolo inaudito qui vederlo d'estate, quand'è la sua ora […]
Non c'è un rigagnolo, non c'è un albero. La pianura s'apre come un mare. Vorrei qui vederlo nel suo sfogo immenso, ondeggiare coll'alito tormentoso del favonio sopra il grano impazzito. E' il mio sole creatore di solitudine; e, in essa, i belati che di questi mesi vagano, ne rendono troppo serale l'infinito; incrinato appena dalla strada che porta al mare.

Acqua, luce, deserto – mare, morte – infinito si concretizzano nella realtà simbolo di uno scheletro. Qui è veramente il baricentro di tutto il viaggiare ungarettiano. Sono tanti i luoghi, tutti da Ungaretti delineati con sobrietà e passione, in cui appaiono immagini di morte e di rovina, e in cui c'è sempre l'emergenza del tema e dei lessemi dell'infinito.

Tratto da LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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