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Campos de Castilla di A. Machado


La seconda importante raccolta machadiana e si apre con un solenne Autoritratto. La raccolta uscì il 24 luglio del 1912, poco prima della morte della sua amata Leonor, di vent’anni più giovane. I Campos de Castilla sembrano un libro di poesia come tanti altri, sulla campagna e su una provincia, con toni romanticistico – bucolici, ma in realtà Machado innova profondamente il tema, con una straordinaria limpidità e originalità di linguaggio (semplice e quotidiano ma capace di assumere una nuova pregnanza simbolica) e con un innovativo ventaglio di punti di vista, ciascuno corrispondente a determinati gruppi di liriche. Un primo punto di vista è quello della meditazione sulla condizione umana, così come la vivrebbe un contadino della Castiglia o di altri paesi: la crudeltà e la cattiveria dell’uomo in lotta per la sopravvivenza, l’attonito sguardo dei vecchi morenti, fino al lungo poema dell’avidità umana: La tierra de Alvargonzàlez, composto a Parigi nel 1911. Il poema gliel’aveva ispirato un contadino, che gli aveva raccontato la storia durante una delle escursioni di Machado, alla ricerca della conoscenza dei paesaggi e della gente della Castiglia. La vera trama del poema sta nel modo in cui Machado tratta la storia. L’intonazione non è popolarista, non di chi commenta e racconta un fatto di cronaca, ma favolistico, epico, di chi canta una storia costruita sulla base di esperienze e di valori comuni.  Il romance in questo caso non viene usato, come facevano i romantici, per trasfigurare i fatti in un alone leggendario, ma per scandire la grave forza del linguaggio; la storia non è proiettata in un tempo lontano, bensì al di fuori del tempo, in una sorta di preistoria dell’umanità. I sogni, le divinazioni, i presagi di cui è intessuta la narrazione sono modi con cui la trama profonda delle passioni si manifesta e si chiarisce, una proiezione sulla realtà esterna delle nostre angosce reali. Nel 1917 Machado, nel prologo alla seconda edizione dei Campos de Castilla, dirà esplicitamente di aver voluto inventare nuovi poemi dell’”umanità eterna”, poemi che, seppur prodotti da un individuo, godono di vita propria. Mentre a quell’epoca Apollinaire predicava, in Mèditations esthètiques, la creazione di nuovi miti, che fossero aperti verso il futuro e sostituissero quelli antichi, distrutti dalla tecnica e dalla trasformazione dei rapporti sociali, Machado puntava alla creazioni di miti di sapore antichissimo (non a caso intessuti di riferimenti biblici) in cui le passioni apparissero eterne, eterne non perché fissate in un lontano immobile cielo, ma perché ancorate alla concreta, persistente, lotta dell’uomo; miti insomma in cui gli uomini, grazie all’invenzione poetica, potessero riconoscere anche il loro presente.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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