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La Galatea di Cervantes (1852)


Romanzo pastorale scritto in gran parte nel 1582, e pubblicato nel 1585, La Galatea è l’opera giovanile più impegnata di Cervantes. Un impegno sentito dallo stesso autore che considerava lo scrivere egloghe un’audacia inconsueta in una realtà culturale in cui gli impellenti problemi di vita pratica avevano sotterrato, sotto strati di polvere, il genere in questione.
In lui è però così forte la passione per la letteratura da non preoccuparlo più di tanto: è convinto che una precisa ricerca espressiva possa migliorare poetiche e orientamenti ormai in disuso, come appunto l’egloga, e per questo è fiducioso.
Alle preoccupazioni formali, si affiancano poi quelle retoriche e contenutistiche, ad esempio il problema della verosimiglianza, e quelle relative all’organizzazione strutturale del testo.
La Galatea, forte del ricordo del fascino della letteratura rinascimentale italiana, e delle opere pastorali di maggior successo, La Diana di Montemayor e la Diana enamorada di Gil Polo, si profila come un divertissement letterario. Anche se lo scarso successo di pubblico che riscosse fa pensare in questa direzione, se non ci fosse il tenace attaccamento di Cervantes a smentire questa ipotesi, suggerendo un’altra chiave di lettura. L’opera appare contraddistinta da un netto platonismo ispirato a Leone Ebreo e risolve in chiave rinascimentale i problemi connessi all’intreccio, decisamente dispersivo come accade il più delle volte nei romanzi pastorali.
I racconti dei vari personaggi non costituiscono una serie di singole novelle unificate da una cornice; l’opera è un monoblocco armonico in cui le figure si dispongono tramite precise linee funzionali che determinano l’armonia del macrotesto. Ogni episodio, ad esempio, si conclude risolvendosi tramite la medesima legge superiore che tutto giustifica.
È l’amore la direttrice principale dell’opera: con la sua capricciosità e la sua serenità è il fulcro della vita e del mondo. Le scene e gli ambienti mitologici, non hanno solo funzione decorativa ma sono funzionali al messaggio: il contatto con la natura è la più alta espressione della forza vitale dell’amore, così come i giovani personaggi.  Cervantes manifesta in quest’opera una visione così luminosa dell’amore da sconfinare nel campo della mistica, quasi come se la posizione di Cervantes sull’amore qui non sia semplicemente intellettuale ma anche spirituale; il felice equilibrio formale poi è il suo più valido sostegno.  Un misticismo che cozza con la tradizionale visione che la critica ha della religiosità cervantina: non controriformista e a tratti profondamente reazionaria, ma aperta, essenziale e viva. Una religiosità che non guarda al freddo dogma ma alla capacità affettiva che esso sa trasmettere.  Se più in là Cervantes manifesterà la sua tradizionale visione tridentina, tuttavia non abbandonerà mai completamente le suggestioni per la aerea donna platonica, sia essa Preciosa, Sigismunda o la più famosa Dulcinea, mostrando un amore dettato più dalla riflessione personale che dal dogmatismo moralistico oggettivante del Concilio di Trento.
Altro discorso che l’opera apre è quella del rapporto di Cervantes con la letteratura e la vita. Se da una parte, osservando progressivamente la produzione cervantina, si assiste ad una netta preponderanza del concreto rispetto al letterario, è tuttavia innegabile che in quest’opera molto più forte è l’influenza della suggestione letteraria. Basti pensare ai personaggi, che con il loro soggettivismo non turbano il delicato, sereno e fantastico mondo pastorale che li accoglie.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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