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Le Cartas e Le Leyendas di Gustavo Adolfo Bècquer


Inserito in una realtà, quella isabellina, alternante tra vita pubblica corrotta e vita privata angusta, Becquer fu conservatore per necessità, tutto proiettato nella nostalgia di un mondo utopico e poetico. Le Cartas desde mi celda definiscono bene questi sentimenti, l’angustia del mondo esterno e l’intensità della sua visione interiore. Scritte come a dare l’impressione di un uomo ritiratosi per osservare il mondo da un punto di vista privilegiato, egli in realtà non guarda che a se stesso, rivelando quanto povera fosse la sua conoscenza del mondo e quanto ricca, d’altro canto, fosse la sua capacità di analizzare emozioni e memorie, ricreando storie favolose che andava raccogliendo dagli abitanti del Moncayo.

Le Leyendas

Nascono più o meno dagli stessi presupposti.  Dieci infatti hanno la stessa struttura delle storie raccontate nelle Cartas: inizia affermando di riferire un racconto raccolto sulle labbra di un abitante della zona, unendo così elementi narrativi di esperienza personale e rielaborazione letteraria e culturale. Il tempo dei racconti è indefinibile; le leggende di ambiente sorano o toledano sono costruiti con costumi medievali, mentre due sono di ambiente indiano.
Tema dominante è l’amore, che può essere legato alla morte, al disinganno, alla follia. Altre volte il tema è quello dell’orrore legato alla perfezione artistica. Becquer pesca a piene mani dall’immaginario romantico costruendo storie innovative che sondano profondamente la dimensione oscura dell’io.
Le Leyendas sono anche un tentativo di prosa lirica in cui il linguaggio comune tende a essere continuamente spostato su un piano più mobile e ricco espressivamente. I risultati maggiori in questo senso li otterrà però nel linguaggio poetico.
Nella sua poetica si identifica la poesia col sentimento, cioè con la tormentosa tensione verso l’infinito, e il sentimento con la sfera femminile dell’esperienza. Secondo Becquer, dunque, la poesia è un modo spontaneo di prendere contatto col mondo, una esperienza possibile per tutti, anche se la creazione è riservata a pochi, a coloro che conservano la memoria viva di quello che hanno sentito.
La stessa teoria, in forma più organica, con la distinzione tra Kunstpoesie (poesia  figlia della meditazione e dell’arte, magnifica e sonora) e Naturpoesie (naturale, breve e secca, colpisce il sentimento con una parola e fugge). In questa opposizione c’è già tutta la definizione della sua poesia. Nella introduzione del 1968 alle Rimas, Becquer descrive infine l’esperienza della poesia postromantica. Il cervello del poeta ha infatti angoli tenebrosi dove dormono stravaganti figli della fantasia, un mondo che per avere vita deve trovare la via della comunicazione. È la descrizione della poesia “separata” da ogni altra attività, aperta alle soffitte del sogno, tipica dell’epoca moderna, depositaria della potenzialità umana di mantenere fluide le sorgenti della memoria e della sensibilità infantile, che nella maggior parte degli uomini rimane repressa. Ma essa è anche la descrizione della solitudine individuale del poeta.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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