Skip to content

Unamuno poeta


Negli ultimi anni di vita aveva lavorato al Cancionero, che infatti uscì postumo. Confermava così quello che aveva detto ripetutamente: la lirica era la sua più segreta e profonda vocazione, per la sua capacità di esprimere il più direttamente possibile il suo dramma, e il dramma universale, attraverso quello strumento ricco e totale in cui non aveva mai perso la fiducia: la parola. Di Unamuno ci rimangono ben 1.775 liriche, un corpus poetico di eccezionale ricchezza, un vero e proprio diario intimo, testimonianza di una ricerca espressiva costante che si aprisse alle migliori esperienze spagnole ed europee (simbolisti, Valery, Rilke). È chiaro che, nonostante le prese di posizione antimoderniste, cioè anti estetistiche e pansensualistiche di un decadentismo minore, Unamuno e la sua poesia vanno collocati all’interno di quel filone rinnovatorio della poesia che porta i nomi di Machado e Jimènez.   
La prima fase poetica testimonia una ricerca di poesia disadorna e profonda, di sapore romantico, e dura fino a El Cristo de Velàzquez del 1920, scritto durante la guerra, in endecasillabi sciolti. Dopo il 1923 comincia una seconda fase: la raccolta Teresa, già vicina a Bècquer e con una tessitura più moderna (condensazione, allusività, ellissi) che si confermerà nel 1925 in De Fuerteventura a Parìs, diario dell’esilio, e nel Romancero del destierro del 1928, in cui la concisione è spinta fino al virtuosismo e al gusto dell’enigma. Nel Cancionero, scritto tra il 1928 e il 1936, dopo una prima parte assai intensa, ritroviamo la prolissità delle prime raccolte. Nella sua poesia rimane comunque costante il suo tentativo di scongiurare il destino mortale col quale si era misurato per tutta la vita.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.