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Il formalismo di Roger Fry (Highgate1866 – Londra 1934)


Roger Fry diede un importante contributo all'interpretazione della fenomenologia artistica dal punto di vista del formalismo. Fry ebbe una copiosa produzione pubblicistica e di militanza critica, e il suo pensiero si può analizzare soprattutto in Vision and Design, che uscì nel 1920 raccogliendo i più importanti articoli e saggi prodotti dal 1901 al 1919.
Fry si muove tra due poli ricorrenti: i primitivi italiani (Bellini, Masaccio, Signorelli) e la pittura successiva all'impressionismo, da Cezanne ai post – impressionisti, di cui organizzò memorabili esposizioni. L'antiteticità tra questi due periodi è solo apparente. Fry sostiene che i primitivi italiani come Bellini, Masaccio e Signorelli dipingevano con larga padronanza del disegno, abilità di sintesi formale, semplificazione compositiva e rigore di impostazione prospettica. Queste caratteristiche venivano riprese magistralmente dai pittori di area specialmente francese a cavallo tra Otto e Novecento: sicuramente Renoir, Matisse ma soprattutto Cezanne, di cui Fry fu uno degli interpreti più acuti.Fry vorrebbe stabilire una linea di continuità tra Signorelli, Rembrandt e Cezanne, affrontando il modo in cui questi artisti risolvono il problema formale, che Fry considera fondamentale nell'esperienza visiva ed estetica.  L'esperienza visiva ed estetica non è solo la semplice sensazione che un osservatore avverte quando si trova di fronte all'opera. È invece la risultante dell'intuizione delle relazioni tra le forme e le opere. Le forme più importanti sono quelle che comunicano all'osservatore idee plastiche, costruzione di spazi a tre dimensioni. L'idea plastica suscita una speciale condizione di tensione che è l'essenza dell'emozione estetica. L'emozione estetica è ciò che porta a contemplare i contenuti emotivi della vita reale che la vita pratica non permette di cogliere. L'arte, infatti, ha una natura distaccata, contemplativa, ed è separata dalla vita come da un lucido schermo. In Fry è evidente il debito nei confronti di Berenson e in definitiva non aggiunge nulla di nuovo alla problematica della visione e delle regole interne che governano il mondo delle forme.

Tratto da STORIA E CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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