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Disciplina processuale


Se le domande connesse per pregiudizialità sono cumulate ab initio dall'attore nello stesso processo, esse, ai fini della competenza per valore, si sommano in forza del principio generale dell'art. 102 c.p.c.
Se invece le domande connesse per pregiudizialità costituiscono lo sviluppo di un processo avente originariamente ad oggetto solo la domanda dipendente o pregiudiziale, le sue domande, ai fini della competenza per valore, non si sommano; la disciplina si spiega poiché in tal modo il legislatore cerca di salvare la competenza del giudice originariamente adito.
La disciplina processuale della connessione per pregiudizialità mira a favorire al massimo la simultaneità di trattazione delle domande connesse, e ciò perché, ove non fosse possibile attuare il processo simultaneo, si porrebbe il problema se il processo dipendente debba essere sospeso in attesa della decisione relativa alla controversia pregiudiziale.
A tale scopo (oltre agli accorgimenti previsti dagli artt. 31 e 34 c.p.c.):
- quanto all'ipotesi di diversità di giudice competente per valore e/o materia, l'art. 40 c.p.c. prevede che entrambe le domande debbano essere proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo;
- quanto all'ipotesi di diversità di giudice competente per territorio la domanda dipendente può essere sempre proposta al giudice della causa principale o pregiudiziale;
- ove le domande siano proposte separatamente davanti allo stesso ufficio giudiziario, l'art. 274 c.p.c. disciplina sempre la riunione con decreto del giudice delle cause connesse per elementi oggettivi;
- ove, poi, le domande siano proposte davanti ad uffici giudiziari diversi l'art. 40 c.p.c. ne consente sempre la riunione ex post;
- è infine da notare che l'art. 40(2) c.p.c. dispone: "la connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d'ufficio dopo la prima udienza, della rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l'esauriente trattazione e decisione delle cause connesse".
Al riguardo occorre, tuttavia, sottolineare che il cumulo nello stesso processo è favorito non tanto per motivi di economia processuale quanto, soprattutto, per evitare che, pendente un processo che ha come petitum la causa petendi di altra domanda, la causa dipendente possa essere risolta in modo non conforme alla decisione sulla causa pregiudiziale, con ciò determinando un conflitto logico tra giudicati.
Tali considerazioni inducono ad operare un interpretazione correttiva dell'art. 40(2) c.p.c. nel senso della sua non applicabilità a fattispecie di connessione per pregiudizialità.
In altri termini, nello schema di connessione di cui si tratta, il valore del coordinamento delle discipline sostanziali è destinato a prevalere sull'esigenza di sollecita definizione del giudizio presa in considerazione nell'art. 40(2) c.p.c.

Lette in questo modo le norme, la simultaneità di trattazione della causa pregiudiziale e della causa dipendente dovrebbe potersi realizzare sempre ex ante o ex post assicurando in tal modo che il coordinamento tra le decisioni si realizzi tramite la contestualità della decisione.
L'unica ipotesi in cui la simultaneità di trattazione non è possibile residua essere solo quella in cui la causa pregiudiziale e la causa dipendente pendano in gradi diversi: in questo caso, infatti, il rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione esclude che la cosiddetta competenza per gradi possa essere derogata, qualunque sia il tipo di collegamento esistente tra le domande da cumulare, con la conseguenza che se le controversie sono connesse per pregiudizialità si pone il problema se il processo dipendente debba essere sospeso ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione di quello relativo alla controversia pregiudiziale.

Realizzato il processo simultaneo può accadere, tuttavia, che il giudice istruttore rimetta le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, ove la decisione di essa sia idonea a definire l'intero giudizio.
Il collegio, si ritiene che la causa pregiudiziale è effettivamente idonea a definire il giudizio, pronuncia sentenza con la quale definisce nel merito l'intera controversia; se, al contrario, la "questione" è viene valutata in senso difforme dal giudice istruttore, il collegio pronuncia sentenza non definitiva sulla causa pregiudiziale e rimette la causa dipendente al giudice istruttore per l'ulteriore istruzione.
La sentenza non definitiva può essere oggetto di riserva di impugnazione o di impugnazione immediata.
Quest'ultima porta alla biforcazione del processo: quello relativo alla causa dipendente prosegue in primo grado e quello relativo alla causa pregiudiziale in appello.
Poiché l'appello immediato contro la sentenza non definitiva non determina la sospensione del giudizio di primo grado, se non a seguito di istanza concorde di entrambe le parti, la trattazione separata della causa dipendente e della causa pregiudiziale sembra destinata a pregiudicare irrimediabilmente il coordinamento tra le decisioni.
In realtà, il giudizio sulla causa dipendente prosegue sul fondamento logico-giuridico costituito dalla sentenza non definitiva impugnata.
Pertanto, in caso di riforma di tale sentenza, trovava applicazione l’art. 3362 c.p.c.: "la riforma con sentenza passata in giudicato o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata".

Per quanto riguarda la separazione dei procedimenti cumulati, per le stesse ragioni per cui deve essere operata un'interpretazione correttiva dell'art. 40(2) c.p.c., non si ritiene applicabile a questo tipo di connessione l'art. 103(2) c.p.c.

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