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La domanda giudiziale e il diritto d'azione


Non è questa la sede per esporre le innumerevoli teorie che sono state elaborate intorno alla nozione di azione; poiché, però, la discussione sull'azione e sui rapporti tra diritto sostanziale e processo non ha carattere meramente teorico, ma è pregna implicazioni pratiche, è opportuno esporre sinteticamente i risultati cui, alla stregua dell'ordinamento positivo italiano, è possibile pervenire:
- Poiché prima del processo il diritto sostanziale vive in uno stato di incertezza, il legislatore non può ricollegare il potere della parte di mettere in moto attività giurisdizionale all'esistenza del diritto sostanziale fatto valere in giudizio.
Di qui, l'impossibilità, logica prima che giuridica, di ricollegare l'esistenza del diritto d'azione proprio ad un quid che si può raggiungere solo attraverso il processo ed al cui perseguimento è preordinato proprio il diritto d'azione; di qui la necessità di ricollegare il diritto d'azione alla mera possibilità di esistenza del diritto sostanziale; espresso in termini di teoria dell'azione ciò significa rigettare la teoria sostanziale dell'azione (= aspirazione ad un provvedimento di merito favorevole all'attore) e configurare l'azione con aspirazione ad un provvedimento di merito quale che sia, favorevole o sfavorevole all'attore.
Dall'esame di una serie di norme è possibile dedurre che l'azione vada configurata come l'aspirazione ad un provvedimento di merito e non come l'aspirazione ad un provvedimento quale che sia anche di mero rito.
L'espressione diritto (o potere) di azione non è altro che uno schema riassuntivo di situazioni soggettive composite e costituite da doveri, poteri, facoltà processuali che trovano il loro elemento unificante sul piano funzionale dell'unicità dell'effetto finale (provvedimento giurisdizionale) cui sono strumentalmente preordinate, e sul piano strutturale nell'avere come elemento costitutivo comune il diritto sostanziale dedotto in giudizio.
Sulla base dei rilievi svolti sopra, si può rilevare che la domanda giudiziale costituisce l'atto di esercizio del primo di quei poteri (doveri e facoltà) processuale riassunti nello schema complesso del diritto d'azione.
Di qui la particolare importanza che la proposizione della domanda assume nel processo, in quanto da un lato essa è già idonea ad individuare il diritto sostanziale dedotto in giudizio, dall'altro lato il concreto thema decidendum deve essere certo all'inizio del processo.
Il potere processuale di proporre la domanda giudiziale è ricollegato ad una concreta situazione giuridica individuata secondo le fattispecie del diritto sostanziale.
Dalle osservazioni precedentemente svolte sembra doversi concludere che l'autonomia del processo dal diritto sostanziale, se pur comporta la necessità di attribuire poteri, doveri e facoltà processuali indipendentemente dall'effettiva esistenza del diritto sostanziale o dedotto in giudizio, non può giungere a negare qualsiasi collegamento: secondo il nostro diritto positivo tale collegamento è realizzato dall'essere la concreta situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio elemento costitutivo del potere di porre la domanda giudiziale e dei singoli poteri, doveri e facoltà processuali nei quali si risolve il fenomeno del processo.

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