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Legge e coscienza: la base del giudicare del giudice


Se è vero che gli errori del giudice appartengono alla fisiologia del processo e che proprio per questo si suole dire che il potere giudiziario, a differenza di quello esecutivo, è inamovibile e irresponsabile, è anche il vero che non ci si può spingere sino a stabilire che il giudice non è mai responsabile per l'attività compiuta nell'esercizio delle sue funzioni, apparendo evidente che un simile principio si risolverebbe in un inammissibile privilegio.
Nel nostro ordinamento la responsabilità del giudice può essere civile, penale o disciplinare.
La responsabilità penale è ordinaria; quella disciplinare è rimessa all'iniziativa del Ministro di grazia e giustizia o del procuratore generale della Cassazione ed è di competenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura; quella civile è disciplinata dalla l. 117/88.
Per capire la ratio della l. 117/88, è opportuno ricordare che col codice del 1865 il problema era risolto in modo molto semplice: l'il giudice era civilmente responsabile quando era imputabile di dolo, frode o concussione e in caso di omessa pronuncia sulle domande delle parti (cosiddetta denegata giustizia).
Vi era, dunque, una limitata ma ragionevole libertà di azione contro il magistrato, a tutela del quale era però previsto che l'azione fosse non solo decisa, ma anche prevalentemente autorizzata da un ordinario organo giurisdizionale.
Il sistema non dette adito ad alcun problema, ma ciononostante nel 1940 si decise di modificarlo: l'azione fu assoggettata all'autorizzazione del Guardasigilli e assegnata alla competenza di un giudice indicato dalla Cassazione.
La soluzione, una volta intervenuta la Costituzione repubblicana, si rivela subito illegittima, ma la si lasciò pigramente in vita affinché talune forze politiche, facendo leva sulla necessità che i giudici fossero responsabili anche per colpa, decisero di sottoporre gli articoli al giudizio del popolo.
Il popolo, nel 1987, si pronunciò per la responsabilità, ma è il legislatore ha poi adottato una soluzione che protegge i giudici molto più esplicitamente di quella previgente.
Si infatti stabilito che il giudice risponde civilmente se ha agito con dolo o colpa grave o per diniego di giustizia, ma poi, dopo aver precisato che l'attività di interpretazione della legge e della valutazione dei fatti e delle prove non può mai dare luogo a responsabilità, si è ristretto la colpa grave in ipotesi tassative e perlomeno improbabili.
Si aggiunga che l'azione di risarcimento per responsabilità del magistrato non va più esercitata dal danneggiato nei confronti del magistrato danneggiante, bensì nei confronti dello Stato e previa autorizzazione giudiziale: il magistrato potrà invece essere chiamato a rispondere civilmente dei danni provocati nell'esercizio delle sue funzioni solo dallo Stato che abbia già provveduto al risarcimento (azione di rivalsa).
È perciò evidente che la materia è stata sottratta alla disciplina del diritto comune.
Ma l'aspetto della l. 117/88 che maggiormente sorprende è che la misura della rivalsa non può superare, salvo il caso di dolo, una sommaria a ⅓ di una annualità dello stipendio percepito dal magistrato.
Gli errori del giudice si riparano con le impugnazioni non certo con la responsabilità del giudice, ma la responsabilità, ancorché limitata a ben precise ipotesi, deve pur sempre essere prevista: non sembra che abbia senso prevederla anche per colpa, ma non sembra neppure che abbia senso dare al giudice il privilegio di poter essere convenuto in giudizio solo in via di rivalsa.
Vero è che qui bisognerebbe rafforzare la responsabilità disciplinare.
Inoltre, fermo restando che il giudice soggetto solo alla legge, si dovrebbe fare in modo che il giudice rispetti i termini che sono a lui assegnati giust’appunto dalla legge.

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