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Connessione per incompatibilità


Questa figura rientra nel più ampio schema della connessione per identità di petitum ed è costituita da domande aventi ad oggetto rapporti autonomi e di incompatibili (cioè relativi allo stesso “bene”) correnti tra soggetti diversi.
Per inquadrare questa specie di connessione occorre ricordare che, nei giudizi tra le stesse parti, i limiti soggettivi del giudicato sono tali da ricomprendere non solo il rapporto giuridico dedotto in giudizio, ma anche il diritto con esso incompatibile.
Ciò discende dal principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (nella specie il diritto incompatibile) e, prima ancora, dal principio di non contraddizione.
Pertanto, la proposizione in giudizio di più domande aventi ad oggetto rapporti giuridici tra loro incompatibili correnti tra gli stessi soggetti, da luogo ad un fenomeno di litispendenza o di continenza (se l’oggetto dell’una è compreso in quello dell’altra) e non di connessione.
È immediatamente da aggiungere che la sentenza (o il giudicato) non può manifestare alcuna efficacia giuridica contro i terzi che si affermino titolari di rapporti autonomi e incompatibili rispetto al rapporto oggetto immediato della sentenza resa.
La fondamentale regola sui limiti soggettivi apre, dunque, la strada al formarsi di giudicati praticamente contraddittori.
Se, per un verso, il legislatore, al fine di tutelare il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, ammette il formarsi a livello diacronico di giudicati anche praticamente contraddittori, per altro verso, più difficilmente tollera la contraddittorietà tra decisioni ove più domande, aventi ad oggetto rapporti incompatibili correnti tra parti diverse, siano proposte separatamente ma contestualmente.
Perciò si ritiene che, in assenza di un’espressa regola, deve trovare applicazione analogica l’art. 2378 c.c. che prevede l’obbligo per il giudice di riunire le cause, nella specie connesse per incompatibilità, proposte separatamente ma contestualmente.
Se le domande sono proposte in maniera sfasata temporalmente, il rischio di giudicati praticamente contraddittori non è eliminabile.
Tuttavia, l’ordinamento giuridico, tenuto conto del pregiudizio di fatto che deriva al terzo causato dalla sentenza che riconosce altri titolare esclusivo del diritto sullo stesso bene, attribuisce al terzo la facoltà di esperire rimedi preventivi e successivi.
Il rimedio, di carattere facoltativo, preventivo è costituito dall’intervento volontario in causa, ai sensi dell’art. 105 c.p.c.: il terzo può intervenire nel processo instaurato tra le parti proponendo nei loro confronti una vera e propria domanda giudiziale di accertamento dell’esistenza della situazione giuridica soggettiva incompatibile di cui egli si afferma titolare.
L’intervento consente la creazione di una sentenza unica che riconosca la titolarità del diritto dedotto in giudizio con efficacia nei confronti di tutte le tre parti del processo.
Ne deriva che l’intervento in causa previene il formarsi di giudicati praticamente contraddittori.
Il rimedio facoltativo successivo dell’opposizione ordinaria di terzo costituisce un mezzo straordinario di impugnazione e può essere fatto valere, senza limiti di tempo, dal terzo pregiudicato contro la sentenza che ha attribuito ad un altro soggetto lo stesso diritto di cui gli si afferma titolare esclusivo.
Il terzo, se vittorioso, riesce ad eliminare e dal mondo giuridico la sentenza e a sostituirla con altra che stabilisce, nei confronti di tutte e tre le parti, la titolarità del suo diritto prevalente.

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