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La Corte di Cassazione e le altre magistrature superiori


Occorre chiedersi se sia corretto qualificare la Corte di Cassazione come “organo supremo della giustizia”, in presenza di una disposizione come l’art. 1118 Cost. che esclude la ricorribilità in cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per motivi diversi dalla giurisdizione.
Negli ultimi 15 anni si è assistito a sempre più frequenti interventi normativi diretti ad allargare i casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Disposizioni di questo tipo sono estremamente pericolosi in quanto minano l’unità della giurisprudenza, dato che finiscono per sottrarre settori non indifferenti di norme dell’ordinamento al controllo della Corte di Cassazione, col rischio di creare due magistrature di vertice chiamate a pronunciarsi in ultima istanza sull’interpretazione delle stesse disposizioni di legge a seconda che siano applicate dal giudice ordinario o dal giudice amministrativo.
In alcuni ordinamenti stranieri la Corte Suprema non solo svolge la funzione di normofilachia, ma assolve anche al compito di controllare la costituzionalità delle leggi.
Un sistema di questo tipo ha caratterizzato anche il nostro ordinamento dall’entrata in vigore della Costituzione fino all’istituzione della Corte Costituzionale nel 1956, una fase durante la quale, essendo il controllo di costituzionalità esercitato in forma diffusa dai giudici comuni, la Corte di Cassazione ebbe opportunità di svolgere un ruolo del genere.
Nella primavera del 1956 la Corte Costituzionale iniziò ad operare assumendo il monopolio delle decisioni “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni”.
Si venivano così a creare due organi di vertice nel nostro ordinamento con due competenze diverse.
La distinzione sembrerebbe netta e ben delineata e invece si rivela sul piano pratico assai difficile da garantire: da parte infatti, il singolo giudice davanti al quale pende la controversia, competente a giudicare sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, ben può in tale sede interpretare la disposizione di legge in via adeguatrice con il dettato costituzionale, mettendo così fuori gioco l’intervento della Corte Costituzionale; dall’altra la Corte Costituzionale dovendo interpretare le norme di legge sottoposte al suo controllo, viene a “rompere quella sorta di monopolio dell’interpretazione che l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario attribuisce invece alla Cassazione”.
Il problema dei rapporti fra le due Corti è stato successivamente risolto nel senso che:
spetta esclusivamente al giudice ordinario, alla Corte di Cassazione, il compito di individuare l’esatta interpretazione della legge;
la Corte Costituzionale controlla la compatibilità della legge così come interpretata dal giudice ordinario con la Costituzione; oggetto della sua vigilanza è il diritto vivente consolidato attraverso le interpretazioni costanti della Corte di Cassazione.
Perché questa separazione di competenze possa funzionare occorre però che quella disposizione di legge sia divenuta diritto vivente, cioè si sia formata quell’interpretazione consolidata cui abbia contribuito anche l’organo di vertice della giurisdizione ordinaria, la Corte di Cassazione.

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