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La riproposizione di domande e di eccezioni non accolte in primo grado


L’art. 346 c.p.c. dispone che “le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”.
È necessario premettere il significato delle espressioni: “domande non accolte” e “eccezioni non accolte”.
Nel primo caso non si tratta di domande respinte sulle quali si è formata soccombenza pratica.
Dall’espressione domande non accolte, si devono espungere anche le domande su cui il giudice ha illegittimamente omesso di pronunciare, perché in tal caso sussiste un vizio della sentenza che può essere fatto valere con l’impugnazione vera e propria.
L’art. 346 c.p.c. menzionando le “domande non accolte” si riferisce ad un fenomeno tutto diverso che si realizza quando il giudice di primo grado, legittimamente, ha omesso di pronunciarsi su una domanda giudiziale.
Le domande di cui all’art. 346 c.p.c. sono le domande subordinate non accolte, perché assorbite.
Anche il secondo caso necessita di spiegazione; tale espressione ha un duplice significato:
- secondo il primo le eccezioni non accolte sono le eccezioni il cui esame è stato legittimamente omesso in primo grado perché il giudice ha rigettato la domanda per difetto di un fatto costitutivo o per l’accoglimento di una eccezione diversa da quella legittimamente non esaminata perché assorbita;
- il secondo significato è “eccezioni non accolte perché respinte”.
Il giudice di primo grado ha respinto l’eccezione tesa a far valere un fatto estintivo, modificativo o impeditivo, o una questione di rito, ma ha dichiarato inesistente o il diritto fatto valere in giudizio per difetto di un fatto costitutivo o per accoglimento di un’altra eccezione.
L’appellato praticamente vittoriosa interessato alla riproposizione di domande subordinate o di eccezioni genericamente non accolte dovrà attivarsi, nel silenzio della legge, secondo modi e tempi che si ricavano dalle strutture proprie del processo di primo grado:
- poiché ad attivarsi è la parte praticamente vittoriosa, la modalità di proposizione non sarà un atto di impugnazione come l’appello principale o l’appello incidentale;
- in analogia con la disciplina del primo grado di giudizio, l’ultimo momento utile per riproporre le domande (assorbite) è 20 giorni prima dell’udienza attraverso la comparsa di risposta;
- lo stesso è da dirsi in ordine alla riproposizione delle eccezioni in senso stretto assorbite;
- le eccezioni respinte, se in senso stretto, devono essere espressamente riproposte nella comparsa di risposta; se rilevabili anche d’ufficio, probabilmente, in quanto già esaminate dal giudice di primo grado, perdono la caratteristica della rilevabilità d’ufficio da parte del giudice d’appello, e per essere riesaminate dovranno essere espressamente riproposte nella comparsa di risposta.

Quanto sinora detto trova piena applicazione solo a fronte di sentenze di primo grado dichiarative dell’esistenza del diritto.
In ipotesi invece di sentenze di primo grado dichiarative dell’inesistenza del diritto, dato che tali sentenze rinvengono il loro solo antecedente logico necessario nel singolo fatto modificativo, impeditivo, estintivo concretamente accertato come esistente o nel singolo fatto costitutivo accertato come inesistente, in appello si ha questa importante conseguenza: se la censura o le censure fatte valere con l’atto di appello si rivelano fondate, si avrà la automatica devoluzione al giudice d’appello dei fatti costitutivi che erano stati posti dall’attore in primo grado a fondamento del diritto fatto valere in giudizio.
Per i fatti modificativi, impeditivi, estintivi, invece, ciò non si verifica stante l’art. 346 c.p.c.(“le eccezioni non accolte se non espressamente riproposte si intendono rinunciate”), salvo quanto già detto rispetto alle eccezioni rilevabili d’ufficio.
Su questo stesso filo conduttore è infine da osservare che la sentenza di rigetto in rito, se appellata, comporta, condizionatamente all’accoglimento della censura, l’automatica devoluzione dei fatti costitutivi sollevati in primo grado.
Riassumendo, è pertanto da dire che l’oggetto in senso lato del giudizio di appello è suscettibile di restrizione ad opera delle parti:
- per quanto concerne il rapporto sostanziale, in seguito all’impugnazione principale o incidentale e all’operare dell’acquiescenza tacita qualificata;
- per quanto riguarda le questioni sollevate o comunque conoscibili in primo grado in virtù del carattere non automatico dell’effetto devolutivo, salvo le precisazioni esposte da ultimo specie in ipotesi di appello avverso una sentenza dichiarativa dell’inesistenza del diritto o di rigetto in rito.

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