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Il Bellum Iugurthinum di Sallustio

La seconda opera monografica di Sallustio rappresenta la sua aperta opposizione antinobiliare. Lo storico, infatti, mette largamente in luce le responsabilità dell’aristocrazia nella crisi dello stato romano. Quando, nel 118 a.C. morì il re cliente di Numidia, Micipsa, egli lasciò il regno ai due figli Aderbale e Iempsale ed al nipote Giugurta. Quest’ultimo fece assassinare Iempsale e fece fuggire Aderbale, che, invocando il ruolo patriarcale che Roma rivestiva verso la Numidia, chiese a quest’ultima aiuto per sconfiggere Giugurta. Gli ambasciatori mandati al re Giugurta furono facilmente corrotti col denaro, denaro che, in buona parte, finì nelle tasche del senato romano. La vicenda divenne uno scandalo sfruttato dai populares per mettere sotto accusa l’aristocrazia, rimproverandole di subordinare l’interesse collettivo a quello privato e di non essere più legittimata a governare. Fu allora ordinato a Quinto Cecilio Metello di comandare l’esercito che avrebbe combattuto contro il re di Numidia; Metello affidò questo compito al suo luogotenente Caio Mario. Egli concluse la guerra nel 104 a.C. riportando a Roma Giugurta incatenato, tradito da Bocco, re di Mauritania.
Il lavoro di Sallustio
Tutta l’opera costituisce un brillante atto d’accusa verso l’aristocrazia romana. La guerra, infatti, era in realtà un gigantesco caso politico, un caso che segnò il ritorno dei populares all’iniziativa politica e che trasformò radicalmente l’equilibrio istituzionale romano. Sallustio, con la sua opposizione antinobiliare, rivendica i meriti della politica espansionistica indicando nel regime dei partiti la causa della rovina della res publica e nella nobiltà, un accozzaglia di uomini guidati da un gruppo corrotto. Radicalmente diverso è invece il suo giudizio sui populares. Attraverso i discorsi di Memmio e Mario, Sallustio traccia le linee guida della politica dei populares: entrambi i discorsi sono rappresentativi dei migliori valori della democrazia romana contro la nobiltà. Memmio, elencando tutti i difetti della politica aristocratica, invita il popolo alla riscossa; Mario incita alla formazione di una nuova aristocrazia, non più basata sulla nascita ma sulla virtus, sulle potenzialità che ogni uomo possiede e che deve sviluppare con tenacia e saggezza, le stesse potenzialità che hanno permesso a Roma di diventare la prima potenza del Mediterraneo.
I personaggi
I personaggi dominanti dell’opera sono due: il generale Caio Mario e il re numida Giugurta. Del primo Sallustio riporta un giudizio per certi versi parecchio contrastante. Se da un lato lo storico vede in Mario l’uomo che ebbe il coraggio di opporsi allo strapotere nobiliare, dall’altro lo identifica nell’uomo che, con l’arruolamento dei capite censi, ha gettato le basi per la formazione degli eserciti personali e professionali, rei di aver distrutto la repubblica. La stessa aristocrazia della virtus che Mario predica nel suo discorso sembra, agli occhi dello storico, inquinata dall’affermarsi del proletariato militare.
Giugurta è degno di ammirazione agli occhi di Sallustio per la sua energia indomabile, segno di virtus, virtus corrotta s’intende. La sua personalità, a differenza di quella di Catilina, non è corrotta sin dall’inizio, ma subisce una lenta evoluzione. Lo storico comunque non spende parole in difesa del re numida: una volta corrotto il suo carattere egli è solo un piccolo tiranno, perfido e senza scrupoli

Tratto da LINGUA E LETTERATURA LATINA di Gherardo Fabretti
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