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Le opere e lo stile di Terenzio

Le opere e lo stile di Terenzio


Non più le ormai superate commedie motoriae, con scene movimentate e sostanzialmente superficiali, ma commedie basate sulla parola, sulla trattazione d’argomenti più profondi che richiedevano, di conseguenza, ritmi di rappresentazione più lenti. Terenzio, insomma, dichiara continuamente la novità del suo teatro, un teatro senza dubbio impegnato. Di Terenzio ci sono state tramandate sei opere: Andria (166 a.C.), Hecyra (165 a.C.), Heautontimorumenos (163 a.C.), Eunuchus (161 a.C.), Phormio (161 a.C.), Adelphoe (160 a.C.) I personaggi terenziani tendono maggiormente al realismo ed alla verosimiglianza propria dei modelli greci. Non solo, i suoi personaggi hanno una maggiore complessità interiore e sentimentale, animano intrecci e comportamenti privi d’eccessi: i figli contestano ma conservano un certo rispetto dei genitori; i servi mugugnano ma rimangono affezionati ai padroni; l’anziano padre abbandonato è tormentato dal pentimento di non avere compreso in sentimenti del figlio innamorato.

La lingua e lo stile

In merito alla lingua, tre erano gli stili che distingueva Varrone: la ubertas, la mediocritas, la gracilitas. Ed il principe dello stile medio era per lui Terenzio. La mediocritas di Terenzio non è altro che l’aristocratico linguaggio del Circolo dello Scipioni passato attraverso il filtro di questo geniale commediografo. Il suo stile è quieto e temperato, “una via di mezzo fra la tragicità di Pacuvio e la festosità di Lucilio” (Ussani). Il linguaggio di Terenzio è perfettamente intonato al teatro nuovo di cui si fa innovatore. Giulio Cesare definì lo stile del commediografo col termine purus sermo, mentre Cicerone lo definì lectus sermo; sono giudizi che hanno valore ancora oggi e che pongono sull’accento sulla raffinatezza e sull’eleganza del linguaggio terenziano. Ma i due illustri personaggi romani evidenziano anche un altro aspetto dello stile: la puritas, cioè la totale assenza di grecismi. Terenzio inoltre evita l’utilizzo di linguaggi scurrili, preferendo invece parole astratte che meglio esemplificano l’analisi psicologica dei personaggi. Il suo linguaggio è più quotidiano di quello di Plauto, non è fatto di doppi sensi e di tirate imprevedibili ma, è quello tipico delle classi urbane di buona cultura, più pacato e selezionato.  Particolarmente importanti appaiono i neologismi terenziani, ai quali la lingua ha attinto, ed ai quali appartiene per esempio il termine iniustitia. Vari versi di Terenzio sono diventati proverbiali nella lingua italiana: ad esempio il famosissimo detto lupus in fabula del verso 537 degli Adelphoe.

Tratto da LINGUA E LETTERATURA LATINA di Gherardo Fabretti
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