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Gadamer - Il linguistic turn


In questo secolo abbiamo compiuto una sorta di linguistic turn, una svolta linguistica. Si tratta anzitutto di quel che è avvenuto in Inghilterra quando Wittgenstein, allievo di Russell, cominciò ad interessarsi all’ordinary language, all’uso linguistico, in modo incomprensibile per il maestro.

Un secondo processo ha avuto luogo nella tradizione tedesca, il passaggio dal neokantismo alla fenomenologia e gli sviluppi di Husserl e Heidegger. In tal modo la linguisticità, costituzione fondamentale dell’esistenza umana (che è esistenza linguistica), è divenuta tanto essenziale che per-fino la metafisica, la dottrina di quel che si chiama essere, è stata ricollocata in un nuovo contesto.

La parola c’è come parola che raggiunge l’altro. Il modo in cui Wittgenstein si esprime è molto simile. Wittgenstein parla di pragmatica linguistica. Il che vuol dire che il linguaggio fa parte della prassi, dell’umano essere l’uno con l’altro e l’uno di fronte all’altro. L’ermeneutica dice che il linguaggio fa parte del dialogo, ossia il linguaggio è quel che è quando conduce allo scambio.

Questo orientamento porta dal monologo al dialogo. Non si tratta più di ciò che si sa, della comprensione. E’ questo il nuovo passo compiuto: pensare d’un tratto il linguaggio come un essere in cammino verso l’essere-l’uno-con-l’altro e non come una comunicazione di fatti e di stati.

Tratto da LINGUAGGIO di Domenico Valenza
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