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Palma d'oro e transizione per "Il Gattopardo" di Visconti



In realtà, a suddividere il film in prologo, quattro movimenti o atti, e un prologo, ci si rende conto che è soprattutto nei primi tre atti che – al di là dell’altissimo livello di scrittura filmica, della ricchezza compositiva e dinamica dei piani, della felicissima partitura musicale di Rota, del virtuosismo di una delle regia fra le più memorabili di tutto il cinema viscontiano ed europeo anni Settanta – i temi della politica del Regno d’Italia, del trasformismo delle classi dirigenti, dell’opportunismo della nuova e rampante borghesia proprietaria si giustappongono sul tessuto tematico più robusto, più ampio e più sentito da Visconti del materialismo nobiliare e alto borghese.
Il Gattopardo è un’opera di transizione, grandiosa e a tratti commossa. Transizione dal primo Visconti (in cui il mondo oggettivo riesce a prevalere sulla vena soggettiva, tutta intenta alla sconfitta, alla distruzione, al destino e alla morte), al secondo Visconti (dove i grandi temi del decadentismo e del crepuscolo di un mondo intento a commuoversi della propria agonia, hanno il sopravvento sulle urgenze della storia, dell’ideologia e della politica). Ma anche transizione epocale, dalla società italiana degli anni del fascismo e della guerra, pieni di orrori e di dolori, e dell’immediato dopoguerra, pieni di speranze e di illusioni, alla società pacificata e disillusa delle stagioni del miracolo economico, del benessere diffuso e dell’assopimento politico.
Non tutti apprezzarono Il Gattopardo, specie a sinistra, in Italia e in Francia (nonostante la Palma d’Oro vinta a Cannes), non mancarono critiche sull’eccessiva identificazione che il regista mostrava con il proprio protagonista. E a molti sfuggì che, a parte l’esemplare magistralità della messa in scena, anche in altro senso si poteva parlare della magistralità del film: nel corso del 1962, vale a dire durante la lavorazione, il set del film si trasformò in un’epocale bottega di grandissimo cinema, dove il sempre egregio apporto dei singoli veniva orchestrato nella concertata unità di un grandissimo spettacolo. E fu, per molti nomi importanti del futuro del cinema italiano una grandissima, inimitabile e indimenticabile scuola.

Tratto da LUCHINO VISCONTI di Marco Vincenzo Valerio
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