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Definizione di danno biologico in giurisprudenza


Le dizioni danno biologico, danno alla salute e danno alla validità sono utilizzate nella pratica peritale come sinonimi.
Ma parlare di danno alla salute o alla validità non è la stessa cosa che parlare di danno biologico: può esistere infatti un danno biologico (inteso come lesione o menomazione dell’integrità o incolumità psicofisica della persona) senza che vi sia alcun danno alla validità.
Si pensi agli atti relativi alla sterilizzazione volontaria, quelli relativi all’interruzione volontaria della gravidanza e quelli riguardanti la correzione dei caratteri sessuali ai fini della rettificazione del sesso, i quali sono lesivi dell’integrità fisica di chi li subisce, ma non dello stato di salute individuale.
Per tale motivo, il giudizio sull’effettivo danno alla salute subito dalla persona offesa è compito che spetta direttamente al magistrato, sia pure sulla base di tutti i dati che gli vengono forniti dalla preventiva indagine medico legale.
Con la dizione “danno biologico” si intende esprimere un concetto esclusivamente medico, quale è quello del pregiudizio all’incolumità o integrità somato-psichica preesistente, indipendentemente da qualsiasi riferimento o ripercussione sulla capacità di produrre reddito.
Il danno biologico consiste nella menomazione permanente e/o temporanea dell’integrità psicofisica della persona, comprensiva degli aspetti personali, dinamico-relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico legale e indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito.
In effetti se si considerasse il danno alla persona solo nel suo aspetto statico, il magistrato finirebbe per liquidare risarcimento in modo automatico.
In realtà dal punto di vista giuridico non la sola lesione o meglio la sola menomazione biologica di questo o quell’organo devono essere considerate ai fini del risarcimento, quanto piuttosto il pregiudizio alla validità o alla salute che esse comportano.
Da ciò la necessità di considerare gli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico: quel che conta infatti ai fini risarcitori è stabilire non solo la compromissione anatomo-funzionale, ma anche le conseguenze che da quella menomazione biologica derivano sulla capacità di relazione sociale della persona considerata.
Al concetto di integrità biologica dobbiamo sostituirne uno più ampio, che lo sopravanzi e che comprenda anche quegli effetti di efficienza e dinamico-relazionali, oltre che spirituali e giuridici, quelle capacità di operare e di assumere un proprio ruolo nel mondo e nella collettività, che sono o dovrebbero essere propri di ogni persona.
Non vi è dubbio allora che tale concetto è la validità, cioè l’efficienza psicofisica individuale (che presuppone l’integrità, ma ne è un superamento).
In conclusione, ai fini risarcitori, il primo dei parametri per la valutazione del danno alla persona è il danno biologico, che deve quindi esprimersi in termini di invalidità, cioè di pregiudizio alla validità della persona considerata.
Ed è a tal fine che per una esatta definizione del grado di invalidità permanente vanno precisati, con riferimento allo specifico personaggio in esame, sia i cosiddetti aspetti statici del danno biologico sia quelli più propriamente dinamico-relazionali.
Dunque ciò che maggiormente acquista importanza in sede valutativa è l’aspetto funzionale e dinamico-relazionale del nocumento patito, cioè le ripercussioni negative o peggiorative che il danno biologico obiettivato, inteso nel suo significato anatomo-funzionale e clinico, ha sul modo di essere e quindi sulla validità della persona.

Tratto da MEDICINA LEGALE di Stefano Civitelli
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