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Analisi della poesia "Falsetto" di Montale

Composta nel 1923-24, letteralmente vuol dire cantare su  un timbro che non è il proprio. Per l’esperto di canto Montale ha un senso evidente, certo imitativo. Quindi citazione, forse ironica. Ci porterà una verità, ma per le vie dell’ironia, della parodia. L’esordio stesso è lievemente ironico: i vent’anni visti come minaccia. La fusione panica con il mare è un evidente eco dannunziana.

Riferimenti a D’Annunzio in "Falsetto" di Montale

Quando pensiamo ad un rapporto ironico con D’Annunzio pensiamo a Gozzano: Sanguineti in Tra liberty e crepuscolarismo nomina Gozzano a proposito de I colloqui, in particolare Invernale. L’ambiente del patinoire è diverso dalla spiaggia montaliana. La pattinatrice è” bella, ardita, palpitante come la procellaria” (eco dannunziano!), la nuotatrice ricorda invece una lucertola su un masso bruno (di nuovo immersione panica). Parallelismo: in Gozzano è sorda al suo nome, in Montale il viso è lontano. Dimensione di asaporamento del dato vitale, che sfugge a chi scrive, allo spettatore. Sono settenari  o quinari doppi: è il metro delle canzonette del ‘700. Tommaso Crudeli scrive una canzonetta, un’odicina, dal titolo La nuotatrice. Colui che non prende la nuotatrice è quello che in Montale sta a guardare. Quindi vero falsetto, non solo D’Annunzio, ma anche Gozzano e il ‘700: da tutti questi segnali sappiamo quindi di trovarci di fronte all’ironia. Vedi Adorno: l’ironia è riprendersi qualcosa che abbiamo appena detto. Mette continuamente in discussione quello che sta dicendo intorno a questa Esterina, definita gaietta riprendendendo Gozzano anche in senso di multicolore. Montale ironicamente le augura un concerto di sonagliere, allude ad un elemento puerile. Quindi è una quasi bambina, ma nel pieno della sua fascinazione (riferimento allo Zibaldone del ’28, la fanciulla leopardiana che ricorda gli angeli). La nuotatrice ride di se perché sta esitando. È la perfect woman del ’23. è un ritratto in movimento, sorridente. “sfondo di perla” è un verso liberty, cita Swimburne e i poeti preraffaelliti. C’è un contegno ironico di superiorità crepuscolare, tipico di chi guarda la vita come se fosse possibile non viverla (vedi Gozzano); intellettuale superiorità di chi guarda vivere. Ma Montale insinua: non è che forse è superiore chi vive? È il superamento della visione crepuscolare, per cui saggio è chi rimane a terra, chi guarda vivere e morire gli altri. In Esterina domina la considerazione “vita”, è un emblema in cui si concentra la questione, la domanda, sul senso del vivere e del valore vita. Non è un angelo, non è una donna che non si trova. è una donna che c’è, completamente risolta nel suo gesto. Non è la donna soccorritrice, è interessata solo al proprio slancio. Ci troviamo però di fronte ad un problema, il valore vita.
Oltre a Boutroux Montale legge Bergson ( mathiére et memoire, 1896 ), filosofo che studia il rapporto tra corpo e spirito. Esterina è puro corpo, non spirito. Bergson dice che lo spirito, la memoria, raccoglie la totalità dell’esperienza vissuta nella sua spontaneità. È come se avesse concordia e misura là dove sono solo frammenti. Il corpo ha per funzione essenziale  di limitare in vista dell’azione la vita dello spirito. Lo spirito bloccherebbe l’azione, ci farebbe rimanere tra quelli che restano a terra. Il corpo è limite per lo spirito e propellente per l’azione, è il freno alla contemplazione, è positivo. Il riso di Esterina è per l’esitazione, ha rischiato di diventare pensiero! Esterina rappresenta la scissione delle funzioni, non c’è la sintesi bergsoniana. C’è il corpo verso lo spirito, la materia contro la memoria. Il valore vita è visto anche da Freud: è qualcosa che non si sa cosa sia e nello stesso  tempo ci definisce. Allora l’Arte è ciò che ci mette al riparo dalle conseguenze della nostra stessa psiche, è un palliativo che ci addormenta nella ricerca di questo valore vita.

Ma Montale è un artista. L’arte è un modo come un altro di non vivere ( intenzioni, 1946 ), è “la forma di vita di chi veramente non vive”, un compenso e un surrogato. Non è una turris eburnea: un poeta non rinuncia alla vita, è la vita che si incarica di sfuggirgli. Dunque Montale è colui che rimane a terra, colui che vive al 5% (Diario del ’72 ). C’è lo scarto doppio di chi non ha vissuto ed il cui spirito ha raccolto anche quel poco.  “per finire” dal Quaderno dei quattro anni. Notare gli incisi. Non lascio seguaci, detto dal più importante poeta del momento è un vezzo. Montale in più dice di fare un falò non dei suoi versi, ma delle carte
La percentuale vissuta deve rimanere quella, l’attenzione si deve concentrare sull’opera. La vita ha una relazione con l’opera? “non sono Leopardi”  cosa vuol dire? Non lo sono dal punto di vista della vita. “hai ben ragione tu” in qualche modo la vita si capisce solo dal di dentro, non è possibile dal di fuori. Eppure non ha letto Diltey. Se questa Esterina è la vita, e solo questo, non è o quasi pensiero, è corpo in senso bergsoniano, cioè limite nei confronti del pensiero. Esterina ha ragione perché il suo crollar di spalle è più forte concettualmente della rielaborazione immobile di chi rimane a terra e guarda chi vive. È come se Montale fosse trasportato fuori, oltre quel 5%, e pensasse per  un secondo che è lì la verità, e non nella rielaborazione concettuale.
Qui Montale non canta nessuna donna salvifica, la donna non simbolo di niente. È un dato problematico. È la pura vita,  l’hic et nunc quasi pagano, a lei basta la vita e se la morale è ciò che sta fuori, al di là della vita (H. Arendt) allora Esterina è immorale. Grande evidenza di D’Annunzio nella filigrana del testo ( fiotto di cenere, adusta, l’acqua la rinnova) tanto che Cecchi parla di un D’Annunzio originalmente svolto. Cecchi aggiunge che si può citare solo la propria lingua, se no non ha alcun peso.

Tratto da MONTALE: OSSI DI SEPPIA di Federica Maltese
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