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Analisi della poesia "I limoni" di Montale

È un testo immensamente importante e molto noto. Questa lirica realizza il progetto di “torcere il collo alla retorica”. Il proposito è enunciato in molti luoghi del Quaderno genovese. Siamo negli anni ’20 e la retorica era ancora molto presente (basti pensare a D’Annunzio).  Fin dal primo verso parla dei poeti laureati: Carducci, Pascoli e  D’Annunzio identificati rispettivamente in bossi, ligustri e acanti. È come se Montale dicesse che non è uno, né l’altro, ma è Montale.è un progetto non solo di popolarizzazione della poesia, ma anche di caduta: questa lussuriosa vegetazione letteraria è caduta. “ma” l’avversativa fa comprendere che per lui ci sarà disintegrazione della retorica, nei nomi e nelle cose. Montale parla della Liguria di Levante, paesaggio sintomatico che sta nella prima parte della sua produzione poetica. C’è l’annuncio visivo di Montale,  dei limoni e della luminosità, come refrain della poesia. Montale dice che non vuole usare la retorica e certi nomi,eppure siamo così sicuri che non li usi? Il suo è un linguaggio complesso, fatto di parole poco usate. I limoni sostituiscono bossi ligustri e acanti, ma sono affiancati ad una denominazione del mondo comunque complessa. I poeti laureati appartengono ad una poesia consumata dalla sua stessa retorica. Montale la sostituisce con altre parole:  pomerio, verzura, rigagno, caldura, ignita zolla, cinigie (cenere ancora calda), sistro (triangolo musicale), strinata proda (bruciacchiata), semenza, ravido (irato), broli (orti), ebrietudine, piovorno, riverdire, rancio (arancione), estuare (ribollire), vento forano (forestiero).  È come se volesse rivalutare o fronteggiare una tradizione secondo una precisa ideologia del prestito (Pascoli e D’Annunzio) descritta da Mengaldo. Più è raro il termine meglio ,non lo si recupera per fare riferimento ad un tono sublime e alto della nostra letteratura, ma in quanto raro. Non le usa perché vuole condurre la sua poesia ad un sublime che detesta, ma perché sono parole ormai rare. Mengaldo definisce l’effetto “espressionistico”. E come se dicesse: “io  che non sono laureato rimuovo tra nomi usati”, ma è una falsa dichiarazione. Montale parla spesso di suono in riferimento alla sua poesia. Che cos’è la poesia, che cosa deve essere la vera poesia per essere vera? Il pensiero che trasmette oil suono che annulla questo pensiero? La poesia non è ciò che si vuole dire, è una stregoneria. Questa idea del suono tormenta e perseguita Montale per tutta la vita. Parla di suono e di fantasma sonoro come chiave di volta della poesia. In Autodafè Montale racconta di essere stato a teatro a sentire Britten e scrive che “il guaio è che si capivano troppo le parole” caratteristica della bellezza di un’opera è invece quella di non capire bene per goderne di più. “Non che fossero brutte parole. Ma la voce umana è perfetto strumento solo se le parole restano un fantasma sonoro”. Questa concezione della poesia=suono è fondamentale per capire la rarità dei vocaboli. La poesia è tale solo se è fantasma sonoro, non mero ragionamento o discorso. Se la poesia fosse pensiero ragionato sarebbe forse pensiero filosofico o saggistico, ma non poesia. La pura sonorità si intreccia con la poesia. Cfr Eliot: la poesia non ha a che fare con le idee, solo gli impegnati a pensare ritengono che la poesia pensi. In questo paradosso c’è già l’enunciazione del problema del rapporto della poesia con il pensiero. Questo suono è importante: è come se Montale dicesse che la poesia è un insieme di parole che non si capiscono. Il simbolismo pone il problema della sonorità della poesia. In Montale c’è la nozione di una parola che comunica nel suono qualcosa che non ha a che fare con il senso delle parole stesse.

I limoni

I limoni”: l’intenzione, espressa in forma gnomica , è di torcere il collo alla  retorica e inoltrarsi in un territorio nuovo della poesia. I nomi sono usati non tanto per una tradizione sublime, quanto per riproporre una nozione di poesia come puro suono, ottenuto anche con l’artificio del raro. v. 1-3: è una dichiarazione, una sentenza, che va presa come tale anche se indimostrabile.  H. Bloom parla di angoscia dell’influenza: la novità si istituisce con la battaglia contro il padre, l’influenza va conosciuta, patita e combattuta. V 4: avversativa, volutamente minimizzante. Modestia botanica contrapposta all’artificio. Confronta con “finestra, ricchezza dei poveri” di Sbarbaro in Pianissimo. C’è un’avversativa nell’avversativa. Valore euristico, conoscitivo, del suono, questo è il punto: non è un parnassiano, ma c’è a fondamento il senso che la poesia mette suonando. È importante l’indecifrabilità del discorso perché la poesia è un insieme di parole in cui qualcosa sfugge. Rilke: “di fronte ad un bivio scegli la via più difficile”. Il difficile ci conduce da un’altra parte: questa è l’eredità del ‘900. Fondamentale per il surrealismo (’24-29) Breton, Dalì, Bunuel, Lorca. “un chien andalou”, l’age d’or : accostamenti irrazionali, scrittura automatica ecc..Montale prende le distanze dal simbolismo, Mallarmè, Verlaine, che pure è fondamentale per una certa parte della sua produzione, e il dissolvimento del  linguaggio in musica. Montale sta percorrendo una via, accompagnato da poeti francesi e inglesi (Eliot). Nel 1975, per il Nobel, legge “è ancora possibile la poesia”: trent’anni prima sullo stesso tema aveva scritto “variazioni”, in cui era stato ancora più chiaro: “ se fu dal principio la poesia è suono, cioè se la legge interna ed eterna della poesia è quella di essere suono, musica, è di identificare parola e nota musicale, se questa legge è quella di sottrarre alle parole il senso delle parole stesse è altrettanto vero che questo suono ci porta un senso suo, un senso nuovo rispetto a quello che ha appena decostruito. Il suono porta un  messaggio nuovo, la poesia è una stregoneria:Montale cita Gide, che commenta De Bonville:”questa magia che consiste nel destare sensazioni a mezzo di una combinazione di suoni, stregoneria per cui idee comunicate necessariamente in modo certo  attraverso parole che tuttavia non la esprimono”. Nuovo significato, determinato dall’alchimia tra suono e senso. Dunque “pomario, rigagno…” tutte queste parole sono nomi poco usati, proprio quei nomi che Montale voleva rimuovere dal poetico, e che pure si riferiscono a questa stregoneria del dislocamento senso-suono.  Attenzione: non c’è l’idea di un puro suono parnassiano,  di mera sonorità. Il ragionamento è fondamentale, ma risuona in modo eccentrico in rapporto all’argomentazione. È legato ai significati, anche se la poesia lo dice in un altro modo. Anche Zanzotto si pone il problema del suono nel dislocamento dalla parola, quando scrive le nenie per il Casanova di Felllini. Infanzie, poesie, scuoletta in Fantasie d’avvicinamento (1973) : il cinguettio della primissima infanzia, suoni ancora inarticolati, melodia ancora insignificante: primordi del dislocamento del significato dal suono come fondamento di ogni dire creativo. Appare il fatato reticolo dei significanti già liberati a un proprio spazio. Quel suono del passero solitario più poetico di ogni forma poetica: la poesia parte da quella dislocazione di suoni non ancora articolati.  Poesia come equilibrio di ragione e charme. Il ricorso al raro non è uno degli ultimi elementi di questa fascinazione poetica.  Montale finge e/o lascia la tradizione precedente del sublime: dice di detestare Pascoli concettualmente (secondo Contini, è per lui un’ipoteca gravante), eppure la sua poesia è zeppa di pascolismi. Montale detesta certe caricature della altezze presenti in D’Annunzio, così procede verso il suo nuovo, umile, diverso paesaggio fatto di pozzanghere e viottoli. Inizialmente procedimento quasi bozzettistica, realistico, eppure il tutto circondato da affettuosità lirica. “io per me” proietta il pathos struggente che porta la cifra dell’elezione. Il poeta si sceglie il suo luogo, in un’elezione che è anche la cifra dominante di un ragionamento successivo. Etimologicamente, la nostalgia è il male del luogo che ci manca. Non è esattamente questo in Montale, non solo, perché c’è anche l’elemento di consacrazione, di elezione di questo luogo. Nemmeno il luogo è un’invenzione montaliana, prima di lui c’è Sbarbaro e altri poeti liguri come Barile, Conte…Sbarbaro in Rimanenze (1921) parla di un luogo simile- Voze,paesino dell’entroterra ligure di ponente-. La variante è  che in lui c’è anche l’idea di annullamento di se nel luogo. È un occhio intenerito, partecipe, pronto a sciogliersi. Immagine di una terra portata addosso, pensata. Montale prevede nel luogo in cui il manifestarsi dell’epifania, della visione, per Sbarbaro è qui che scompare l’io. Antisoggettisvismo è tipico del ‘900, non è un programma, è un progetto declinato dolcemente, circondato di affetto, un luogo che porta al non essere. Per Montale è il luogo che ti conduce alla verità, l’innamoramento iniziale è però lo stesso. Per Montale il paesaggio che commuove, eletto, è innanzi tutto un ragionamento (Calvino). Contrario del concetto romantico di paesaggio, in cui c’è l’idea che si attende qualcosa dal paesaggio, che ci possa insegnare qualcosa. È un deuteragonista rispetto al protagonista ignorante (vedi il pastore e la luna in Leopardi). Qualcosa di questo resta, ma c’è un’integrazione che prevede un paesaggio riconsacrato dalla poesia, viene ridisposto poeticamente.

Questo si vede nella seconda e terza strofa, con una doppia capriola concettuale. Pare una contraddizione: questo paesaggio così semplice, così contrario al sublime romantico, si trasforma in un ragionamento. C’è un eco al Leopardi de La ginestra. Il poeta è in contemplazione, in ascolto della verità. Il punto morto del mondo:  il paesaggio si lacera e appare il punto in cui la materia, la fisicità del mondo reale cede e lascia  apparire la verità. E questo è già un ragionamento fondamentale se dicesse che dunque la verità non ha nulla a che fare con la materia dalla quale traluce, traspare. È la materia che diventa spirito, quella in cui traluce la verità (Montale parla come i filosofi).  Il peso della negazione, il rovello, si trova nel mezzo della verità. Costituzione del luogo poetico di Montale con l’avversativa del verso 4. è un luogo selettivamente stilistico e filosofico. È il luogo  in cui ci troviamo nel mezzo di una verità e in cui si compone la voce poetica, miscela stregonesca di ragione e charme. La poesia dal niente non esiste, l’invenzione è sempre mediata dalla citazione. Roland Barthes: la letteratura è un luogo. L’invenzione non esiste senza citazione, qualcosa che c’è già. In questa stanza, su questo tram, Montale ci sale e questo luogo è già perfettamente tracciato dallo Sbarbaro di Voze. Il luogo elettivo per Sbarbaro è una consacrazione materna della terra nativa, è questa cosa che si scioglie in bocca, la terra come nutrimento. Quello che più preme a Montale, e che in Sbarbaro è più trattenuto, è che Montale è un peta-filosofo, deve entrare in rapporto con la necessità del pensiero. Il poeta si trova dunque, nonostante il peso delle negazioni, nonostante il rovello di In limine (il pensare su di sé senza soluzione), a contraddire questo nichilismo. Si trova quasi nel mezzo di una verità, contenuta dal paesaggio  ligure. Anzi, la verità sta nell’abbandonarsi stesso del paesaggio, nel lacerarsi della rete. È come se Montale dicesse che quello che noi chiamiamo realtà semplicemente contiene la verità. La lacerazione che consente la verità è possibile solo in quel luogo realmente amato. Amare quel luogo particolare è ciò che consente al paesaggio di lacerarsi e mostrare la verità. La verità non è al di là delle cose, ma nelle cose stesse, nel momento in cui queste tradiscono il loro segreto, nel momento in cui si mostrano e ci rivelano ciò che sono sbriciolandosi. 

Punto morto del mondo: è esattamente quel piccolo segmento di terra di cui si sta parlando, Monterosso. Montale parla sempre e ossessivamente di questo paesaggio, che è il filo da disbrogliare per metterci finalmente nel mezzo di una verità. Procedimento simile all’epifania joyciana, confronta “i morti”.In certi momenti la realtà diventa radiante, è la realtà stessa che rendendosi radiante si mostra.  Per Montale questo è ottenuto mediante l’indebolimento delle cose stesse: più il paesaggio è indebolito (dalla nostalgia) più rivela una visione: è Platone, rimodellato in modo nuovo, moderno. La verità è nelle cose, nel momento in cui tradiscono il loro segreto. Questa idea di paesaggio ligure nasce nell’esperienza sentimentale e autobiografica, èun luogo amato, visto, conosciuto.  C’è un’elezione del luogo, ma anche una coazione, un obbligo: è il luogo che sceglie il poeta.  Il luogo particolarmente disposto a significare in quanto particolarmente amato e conosciuto. La percezione del miracolo, cioè del manifestarsi dentro le cose della visione, è l’amore, l’abitudine, l’assillo del luogo,la ripetizione del proprio essere in quel luogo. Questa è una condizione anche della poesia lirica, che non può fare a meno di un contesto, di una cornice, di un luogo (vedi Petrarca, il locus amoenus, ma anche Leopardi che non fa che echeggiare a quel luogo).  Per essere “luogo” deve essere lontano, separato dalla civilizzazione, per svelarsi. Esiste uno “spirito del luogo”. p. 88 di Autodafè:quando ero ragazzo il villeggiare voleva dire un viaggio di 6-7 ore per coprire una distanza di pochi chilometri”. Proprio a partire dalla costituzione del luogo si può dire che Montale è scettico solo fino ad un certo punto. Tutta la sua poesia è in fondo una poesia del luogo. Invecchiando Montale diventa scettico, cinico. Nel discorso per il Nobel cita un poeta sconosciuto del ‘500 e la “piccola ode alla spigolatrice”, dice che questa è frutto di una dolorosa nostalgia per la campagna della Loira da lui abbandonata, il mal du pays. La nostalgia, la mancanza del luogo natale, è fonte di poesia, come nei lais provenzali. È qualcosa che manca, ma che ha a che fare con le radici del proprio essere. Si modifica la vita, ma quello rimane statico, che è la sua forza mitica. Il suo punto di riferimento è il luogo dell’infanzia, che non cresce e non si modifica nella mente dell’adulto. Lo scivolar via si chiama storia, si fila via da quell’intatto paradiso iniziale.  È un luogo irrilevante per l’umano civilizzato che ha a che fare con continue modifiche, ma per il poeta è fondamentale, è l’unico luogo degno  di attenzione per la poesia, l’unico che aiuti a capire la storia.  dunque l’iniziale aria “io per me amo” sentimentale, nostalgica, e la dimensione domestica è la condizione necessaria per la successiva conoscenza della realtà. Montale rende drammatico il ritorno, si pone in condizione di attesa e di interrogazione. Questo luogo è l’unico che può dare un senso. Dov’è la realtà? Nell’anello che non tiene? In quei viottoli, in quei campi? E dov’è la natura? Cos’è?  Certo, l’antinomia fondamentale dei Limoni è tra natura e civiltà, ma l’antinomia profonda, meno immediata, vera, è quella tra il senso profondo delle cose e le cose stesse,tra le cose e il loro segreto, tra la rete e la lacerazione della rete. Il pensiero mitico è diverso dal pensiero autoreferenziale, che pensa se stesso e perciò è sterile. Importante per il pensiero di Montale è la lettura in questo periodo dei contingentisti francesi, soprattutto Emile Boutroux. In Intenzioni  del 1946 Montale dice: “ il miracolo era per me evidente come la reale immanenza e trascendenza non erano separati”.  In La matiére et l’ésprit, Boutroux commenta Cartesio e il razionalismo moderno. Dice che l’idea dell’infinito è il trait d’union tra spirito e natura. È come se la natura non ce la facesse in se stessa a manifestarsi, come se aspettasse un compimento: lo spirito. È il contrario dell’accezione di materia secondo il materialismo, per cui lo spirito non p che una condizione della materia.  Gassendi ( se la materia non ci fosse lo spirito non ci sarebbe) contro Cartesio ( la materia si realizza soltanto se diventa spirito, altrimenti è petrosa, è silenziosa). La natura è in attesa di trovare il suo compimento nello spirito, di essere ratachée à l’ésprit. “domande senza risposta”, vedi Quaderno dei 4 anni –pg 577- questa concezione filosofica non cambia nemmeno nel vecchio Montale. Quello che conta in questa poesia così desolata è che il contesto rimane uguale: l’ossatura è sempre contingentista, è sempre in attesa dello spirito che completi cose che senza di esso sono cenere. c’è un rimando all’ecclesiaste, contesto uguale anche se sono passati 50 anni. I fatti sono cenere, e anche i nomi (vedi Borges), perché la parola non è altro che la cosa, coincidentia rerum aristotelica e dunque polvere. Assuefarsi ad essere vivo o mal vivo significa anche cominciare ad intendere che questo miracolo non avviene. In relazione alla materia lo spirito significa sviluppo, vita, libertà, tutte cose irriducibili all’inerzia, al silenzio, alla staticità. Questa posizione tende a vedere lo spirito come implicito nella materia e intento a realizzare una perfezione di cui esso stesso determina l’idea. Il punto di mediazione tra platonismo e filosofia montaliana è proprio questo contingentiamo. Il poeta deve parlare delle cose anche se non ne sa niente, perché stanno per essere ricondotte allo spirito.E l’Arte? Riferita ai fini della Natura è comunque inferiore alla natura stessa. Detto ciò, l’arte ha i suoi propri fini, che sono diversi da quelli della natura.

L’uomo, per sua costituzione morale, non si accontenta di ciò che la natura gli offre, si crea da sé delle cose:
“1” per eternizzare alcune forme della natura trascegliendole dalla natura;
“2” creare un mondo ideale (fondamentale per Montale) che ci aiuti a dimenticare l’infelicità del mondo reale. Opposizione in fondo crepuscolare tra mondo reale e ideale.
“3” Esprimere ciò che non si esprime, o non si esprime sufficientemente, in Natura, creare comunicazione tra le anime.

L’arte non è un’esperienza solipsistica. Certo, è aristocratica e irripetibile, contro la tv, finta comunicazione. Ma l’arte non è parnassianesimo! Montale denuncia quindi un limite della realtà. Questa insufficienza della Natura e questo compimento possibile solo attraverso la Natura è alla base degli Ossi. Confronto con Proteggetemi nel Quaderno dei 4 anni . vediamo angeli custodi che non ce la fanno. È una preghiera senza speranza (giovanni Getto, “Poeti del ‘900 e altre cose”). La vita spirituale che c’è in noi realizza sempre più una pulsazione religiosa. Il contenuto religioso è diverso, la religione è priva di virtù teologali, in una prospettiva apocalittica. È una poesia religiosa dimezzata, apocalittica per il carattere visivo e simbolico della sua poesia, per il senso arcano della rivelazione, dell’aldilà qualunque esso sia. La verità non è altro che il “compimento della natura” di Boutroux. Che poi questo miracolo non si compia (v. 37 de I limoni) è il male reale, che riprende il sopravvento, il male di vivere, ma dal punto di vista della realtà non importa. Il “non compiersi” è la nota dolorosa della poesia di Montale, che riequilibra quell”urgere folli di voci verso un esito” di Riviere (citazione da Sbarbaro). Lì c’era una folle apertura verso il possibile, è l’estremo ottimista di Montale. Il “non compiersi” riequilibra l’impulso dell’essere verso un suo proprio destino, come dice anche Boutroux. Quindi l’apertura di Riviere è compensata dalla chiusura de I limoni. Questo non per forza stride con la ricerca della felicità: perché è necessario il compimento? Quello che non si compie rientra dualisticamente in sé, fallisce il fine naturale della materia che deve ricongiungersi allo spirito. Zanzotto dà un interpretazione petrosa degli Ossi. In Fantasie di avvicinamento (1953) parla di sentimento e pensiero degradati da una congenita impotenza a livello della pietra. Questa interpretazione non tiene però conto di Riviere, in cui non c’è realizzamento ma respiro.

Tratto da MONTALE: OSSI DI SEPPIA di Federica Maltese
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