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Minstrels

L'influenza di Debussy

Dal XII brano del I libro dei PreludesI  di Debussy. Variazione sul rapporto suono-parola nella direzione della rottura moderna del discorso concatenato. I suoni stessi sono istanti, frammenti, punti. Concetto della forma aperta, per cui un testo musicale non è prefigurabile, neppure da chi lo sta scrivendo.
La mer di Debussy, 1905. Non solo la poesia è suono ma è anzitutto ricerca sul terreno della sperimentazione sonora. Questo tipo di indagine esige un ascolto del lettore che sia inusuale. C’è ironia, levità, ma anche il peso di un concetto: è un programma di poetica. “note soffocate, ignote note, riso che non esplode” : questi clowns esprimono anche il difficile di molte poetiche del‘900, e  Minstrels esprime la concezione di difficile montaliana. Il primo verso è come se mettesse in scena una melodia che non ce la fa a diffondersi perché difficilmente comunicabile.  Nello strozzamento stesso di queste note sconnesse Montale esprime se stesso. Il gioco dei menestrelli si approfondisce in dramma: il difficile da dirsi è la poesia, la sua verità. (cfr Luigi Novio la tragedia dell’ascolto). Il concetto successivo è il riso che non esplode, perché non ce la fa, è contenuto in sé, non esprimibile, con il suo senso salvifico.

Bergson e Montale

Montale legge LE rire di Bergson del 1901. Il riso, per Bergson, è una funzione conoscitiva fondamentale diversa dalla funzione concettuale. È reazione a tutto ciò che è meccanicità, privato dell’umanità. Il riso è una forma diversa della conoscenza, che compensa una funzione logico-deduttiva. Il riso inesploso è grave, allora. Nota tragica, è qualcosa che non giunge. Fine sociale della poesia che serve a collegare le anime (vedi Boutroux): il dire non ha altro effetto che per tenersi per mano di fronte alla sventura (Leopardi) e qui per Montale difficilmente configurabile. L’arte è innanzitutto comprensione. L’arte è morale infinita perché comprensione e amore (nome particolare, detto dallo scettico Montale!). È un po’ ipnotica, quasi allucinatoria, strumento della percezione reale, impulso iniziale cui segue poi la “forma” montaliana. C’è anche un po’ del maledettismo francese, l’idea di droga..concepita per colpire, per drogare, soccorrevole come alcune fantasie oniriche. C’è un raro caso di sinestesia “musica rossa”, cita Govoni e Palazzeschi. Dal v. 6 al v. 22 passa poi a questa musichetta un po’ clownesca, il contrario dell’esplosione del riso anticoncettuale di Bergson (contro il tecnicismo dell’intelligenza): qui è il nulla circondato da niente. L’arte concettuale nasce negli anni ’60-’70 con Kossuth: è mentalismo puro,cerca di abolire la rappresentazione, con il primato della dimensione mentale sull’immagine, in una poesia che in nessun modo si riferisce alla realtà. È come se dicesse che la sperimentazione (il motore del ‘900) diventasse anch’essa una nenia, qualcosa che si smarrisce come il cuore (v.26) che non c’entra nulla! L’alternativa all’ironia, al concettualismo, sarebbe stata quella risata piena ma inesplosa. D’altra parte è il cuore che invece si smarrisce, brucia e rimbalza come il concetto.È come se Montale con questa alternativa senza sintesi ci dicesse che la poesia moderna, comprese le avanguardie, necessariamente rischi di autoannullarsi, evaporare, diventare una musichetta da niente, autoannichilirsi nel suo stesso discorso. Cuore smarrito / suono soffocato: se la poesia fosse solo sperimentazione linguistica non nascerebbe che una nuova modalità di composizione poetica. Ma Montale inserisce la parola  cuore, e dunque in qualche modo l’umanità,la coscienza. Se però il cuore si smarrisce in effetti la poesia diventa il teatro di un ostacolo. Il suo smarrimento coincide con lo smarrimento della poesia: sottotraccia c’è l’idea che la poesia può smarrirsi. Eppure in altri luoghi dice altre cose: “la poesia non morirà mai”,  vedi Asor nei quaderni del’72, dedicata al critico Asor Rosa. La poesia ha a che fare con la permanenza del dolore, della storia, dell’umanità. Non finirà prima dell’uomo, è salvata dal dato storico. D’altra parte nel discorso per il Nobel, del ’75, dice che l’arte è produzione di oggetti di consumo, e che finirà del tutto solo quando non sarà più umana. Montale giustifica l’oscurità della poesia moderna e in un certo senso promuove questo difficile. La poesia ha ricercato se stessa, le leggi della propria purezza, è giunta talora a trarre ispirazione da questa raggiunta autocoscienza. È difficile perché mentre viene prodotta si interroga su se stessa. L’oscurità dunque è vista come profondità, non come gioco. (Parliamo dell’ermetismo, in Sulla poesia). Il suono, e la dissonanza, scopre nel fondo della sua consumazione un cuore che si smarrisce, qualcosa che non ha a che fare con la sola tecnica. Allude ottimisticamente alla sopravvivenza del poeta nel mondo.

Tratto da MONTALE: OSSI DI SEPPIA di Federica Maltese
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