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Quasi una fantasia

Da confrontare con il plaser, componimento provenzale, quasi una reverie, dunque piuttosto atipica in Montale. C’è un tempo che si sospende, ricorda Shopenhauer, per cui il soggetto è libero dal volere. Se sono libero dal principio individationis godo il mondo ( è la volontà schopenhaueriana) e il simbolo è proprio questo uccello, l’upupa, qui rivalutato in Montale.
È un incantesimo, un gioco nel senza tempo che lo ripaga del tempo passato, non capito, noioso ecc…che è il tempo in cui viviamo. Uscire dalla monotonia è il sogno in cui nell’attimo si salva il passato. Vediamo paesaggi di intatte nevi, contro tutto il paesaggio montaliano, forse un eco di “pallida no, ma piùche neve bianca” di Petrarca. Allegrezza è diversa dall’allegria. C’è felicità, ha a che fare con la volontà, che si realizza qui in un contesto di solitudine,  come se la gente impedisse una vera felicità. Parallelo con UPUPA, ILARE UCCELLO : sono testi che si richiamano. La fantasia è la divagazione fantastica, un plaser, componimento retorico che descrive ciò che si ha o vorrebbe avere di piacevole (fr. Guido, i’vorrei che tu e Lapo ed io…).

Qui volontà: volere ciò che non è, volontà del non essere. Il gioco di questi due testi è bloccare il tempo, in una condizione estatica:il tempo perde la sua pesantezza. È allegrezza, non allegria (che evoca la dimensione comunitaria, chiassosa, contro una dimensione intima, la pace di chi non desidera). L’allegria, per Bachtin, è relativa al popolo e alla festa. In questa allegrezza c’è un  po’ di Petrarca, nel riferimento alla neve ma anche alla beata solitudo che non è solo fuga, allontanamento, sospensione, è vacatio, non far nulla di sé per il sé che non c’è ( che comprende anche l’otium). La felicità è dunque solitudine, svuotamento di sé.  La situazione di tempo bloccato c’è anche nell’upupa, nunzio eterno di qualcosa che tuttavia si manifesta solo una volta (la primavera). Rovesciamento del topos dei poeti laureati, quegli stessi che condannano l’upupa: per Montale non è un simbolo funereo, anzi, è nunzio primaverile,è una ripresa del progetto dei Limoni. Ma qui c’è anche una nota estatica, un abbandono quasi orientale al blocco del tempo(conosce il taoismo tramite Novaro). C’è l’ossimoro della primavera eternamente incipiente. Da una parte il meglio dell’anno è annunciato (il cambiamento per eccellenza, l’accelerazione della produzione della bellezza), dall’altra c’è la stasi, il blocco. Il non tempo dell’upupa accoglie la parte migliore del tempo, quella che conduce ai frutti. È una condizione impossibile, l’aligero folletto è un sogno, uno dei rari sogni di Montale, che esce in qualche modo dal male di vivere,dai circoli dell’ansia, dall’angoscia, per fissare l’attenzione estatica a questo mondo dov’è bloccata la storia (empia Babilonia petrarchesca) e la Natura. Non c’è più lo stare in mezzo alla verità grazie alla Natura. Non c’è conoscenza, né miracolo. È un altro contesto rispetto a questa dimensione di produzione di senso e ricerca della verità tipica degli Ossi.

“sulla riviera” o “cinque terre” hanno una dimensione miracolosa. Riferimento a Russeau, La nouvelle Elise, allusione alle chimere,a ciò che non esiste. Felicità relativa alle illusioni.
La reverie è strumento stesso della conoscenza: si conosce più così la natura che per processi deduttivi. Montale non arriva a questa sintesi tra sogno e conoscenza, non c’è varco nella natura che riapre nel sogno, nella fantasticheria. C’è una forma di felicità che non ha che fare con la conoscenza, è la percezione di un altrove percepito in quell’arazzo in cui la leggerezza (perdita di peso della realtà) è la condizione del piacere.  È come se per essere felici noi dovremmo esistere un po’ meno. C’è un lato sognante che contiene il pensiero. Il sogno, a partire da Rousseau e Leopardi è un contesto diverso dalla conoscenza, è leggerezza,assimilazione di me all’inesistenza. C’è anche una dimensione ariostesca (Bradamante, canto 32, lamento sulla realtà “se il  vero annoia il falso si mi piace..possa io dormir e non svegliarmi mai”). È una dimensione astratta, ma assolutamente complementare a  quella filosofica-conoscitiva. Vedi anche Sbarbaro Svegliarsi è difficile. Zanzotto parla di slancio verso la verità. è un mondo senza dei, scoraggiante (vedi la ginestra) ma è la verità.  Rifiuto di evasione nel mito.

Le ultime verità, quelle apprese dopo Leopardi dal cinico Montale sono così aspre che devono stordire: ogni ragione di chi cerca una verità è religione. L’atteggiamento sacro è però capovolto in banalità nel ‘900 a causa della stanchezza dello sforzo per cercare la verità, che produce, come dice Zanzotto, oltra alla malinconia anche il cedere ad una dimensione altra. Questa reverie è una sosta dal punto di vista della conoscenza. Montale, pur consapevole del surrealismo, se ne distanzia, non c’è l’equazione sogno-onnipotenza, sospensione dello spirito critico…lo sforzo per attingere alla verità per Montale sta accanto al sogno.

Il sogno, come dice Baudelaire, è sommeil stupid. Il cedere al sogno per Montale, è qualcosa che potrebbe ricordare il sogno come sospensione dell’intelligenza.  Quando la tetraggine interna coincide con la tetraggine esterna l’unico rifugio è questa notte, questo sonno. Montale rispetto a Baudelaire è più lieto, ma dal punto di vista gnoseologico sono uguali, c’è la stessa stanchezza della realtà. La felicità non ha a che fare con la verità, sta al di là del rapporto critico del mondo. Sbarbaro scrive Lettera dall’osteria, dove la felicità diventa un bicchiere di vino. Il suo stato di grazia è lo stesso stato con cui iniziano i due componimenti montaliani. Fa riferimento alla boheme di Parigi, ma lui è di un paesino ligure, c’è ironia. “mi piloto”: riferimento a Cartesio, l’uomo è il pilota della sua nave.  A differenza del maledettismo Montale mette in scena nell’evasione l’allegrezza autentica della sospensione del tempo, pur recuperando i modelli di Baudelaire e Sbarbaro cita anche il plaser. Sbarbaro dice  “guardare il mondo come il padreterno”, è l’onnipotenza, guardare il mondo dall’alto montaliano. Si concentra il bisogno di felicità dell’universo ottenibile attraverso questa sospensione del tempo, questo sonno stupido dato dal vino:è lo stesso simbolo, ma portato dal cielo. La felicità ci precipita addosso per grazia (Montale qui si trasforma in un luterano giansenista) nel momento in cui si è slanciati verso la verità, come dice Zanzotto.

Concettualmente è uguale a Leopardi, per cui verità e felicità non vanno di pari passo. Tuttavia diversamente da Leopardi per cui la felicità non è raggiungibile, per Montale essa si produce come blocco dello spazio tempo, che a sua volta contiene e blocca l’impulso dell’io verso la verità. In Leopardi la verità è conseguibile a scapito della felicità, e la felicità non è conseguibile: per Montale la verità ricercata negli Ossi svanisce nella fantasticheria, nella reverie, nel momento in cui il tempo si sospende, nel paradosso di una vita che si blocca, che si incanta di se.

Tratto da MONTALE: OSSI DI SEPPIA di Federica Maltese
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