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Napoli nella II metà del XVI secolo


La Napoli della seconda metà del secolo XVI era rilevante perché viveva una stagione fervida della sua storia metropolitana: urbanesimo, grande slancio demografico ed economico, ascesa di nuovi ceti ed assolutismo regio.
Di conseguenza la città è stata investita da una profonda trasformazione edilizia che comprendeva le nuove e fastose residenze dell’aristocrazia.
In più grazie al governo si sollecitava una cospicua burocrazia, gruppi mercantili e finanziari più valenti del tempo e soprattutto i forestieri (genovesi). Il popolo, cioè la borghesia, si stupiva guardando il viceré  Cardinale Ganvelle che nel 1574 è a Napoli il più ricco della nobiltà. Un ceto a se è il patriziato dei Seggi – che alimentavano anche loro l’attività del foro e dell’amministrazione- aveva in mano il governo della città  e l’appoggio dei viceré, soprattutto ai fini della loro politica fiscale. I viceré conoscevano bene l’antagonismo che c’era tra nobiltà e terzo stato e si servivano di quest’ultimo per frenare la prima; ma c’erano anche antagonismi tra nobiltà di Seggio e nobiltà feudale; fra nobili e “togati” (magistrati che passavano dalle toghe alla nobiltà).
La politica spagnola nella capitale corrispondeva a quella attuata verso il restante del Regno, e se ne hanno immediati echi culturali. Come per esempio la discussione storiografica, nella seconda metà del secolo, che oppone Angelo di Costanzo e Camillo Porzio: il primo con le sue simpatie angioine e baronali; il secondo con la sua esaltazione della “ congiura dei baroni” di Ferrante I.
In Bruno e Campanella c’è la consapevolezza degli elementi più appariscenti della società.
Bruno, ad esempio, rievocava il sottoproletariato cencioso che assimilava a quello delle altra città. Diceva che “ di simili miserabili ne trovi a Parigi, Venezia e Roma” aggiungendo che spesso a Napoli e Nola hanno anche più “criminali costumi”.
Nicolini a sua volta descrisse i tratti della nobiltà: c’era una permalosa rissosità che si trasformava in quotidiani duelli; possedevano un gran sentimento di casta; facevano opposizione politica verso le classi inferiori; avevano disprezzo dell’industria, della medicina e dei traffici commerciali; è indolente, oziosa, e con una passione sfrenata per le feste e spettacoli; posseggono un odio per ciò che è cultura. Anche questa nobiltà era il risultato di una forte immissione dall’esterno delle famiglie nobili provinciali. Ma  comunque, come scrive sempre il Nicolini, la nobiltà cittadina era orgogliosa di essere fedele ai regnanti spagnoli e di aiutarli sempre, e continuavano, con parentadi e aggregazioni di famiglie iberiche ai seggi, a spagnolizzare tutto.
Agli spagnoli si imputava anche altro. Come dice il Boccalini: ogni soldato spagnolo che viene a Napoli nudo se ne parte vestito di seta e oro. Bouchard dice anche che alimentano il gioco d’azzardo. I soldati spagnoli avevano le loro residenze nei “quartieri” e quindi erano sempre in contatto con la plebe e questa convivenza per i cittadini portava molti svantaggi: per esempio accadeva spesso di trovare soldati uccisi per le strade. D’altra parte questa plebe cresceva e con essa anche gli assassini, le rapine, e i furti, e nelle campagne anche il banditismo.
Tratti non più entusiasmanti si possono evocare per il clero, anch’esso cresciuto tra il XVI e il secolo XVII.
Tutto questo era effetto della crescita demografica che provocò una radicale alterazione edilizia, violando le regole vicereali che miravano a contenerla. Il Nicolini scrive che violando le leggi nascono “ casacce” nei rioni più signorili; che le chiese o gli edifici monumentali sono incassati tra abitazioni; e che gli edifici erano pieni di sopraelevazioni, e in più sparivano i giardini. Ovviamente si immagina quale sarebbe stato l’effetto di una tale situazione in caso di calamità naturali o sociali. Come ricorda Gino Doria a Napoli ci sono state carestie dal 1560 al 1570, due terremoti (1561-1582) ed anche delle epidemie, che fecero vittime, danni e mendicanti.
D’altro canto a Napoli si organizzavano numerose feste, cerimonie e spettacoli, ed era l’aspetto più rilevante della vita cittadina. Il viceré Toledo introdusse a Napoli la corrida dei toros. Prima le esibizioni teatrali avvenivano solo nelle case dei nobili, poi nacquero i primi teatri regolari, il prifo fu quello dei Fiorentini. Il Largo di Castello divenne il centro della vita cittadina all’aperto.
Gli spettacoli sono anche manifestazioni civili e religiose: cerimonie di insediamento dei viceré, ricevimenti di personalità illustri, esecuzioni capitali a Piazza Mercato.

Tratto da NAPOLI CAPITALE di Stefano Oliviero
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