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Tra XVI e XVII sec.: Napoli, la maggiore città italiana


Breve premessa alla storia civile e sociale dei secoli XVI e XVII. Tra la fine del secolo XVI e gli inizi del XVII, Napoli era la maggiore città italiana e la seconda d’Europa, dopo Parigi, per il numero di abitanti. Le straordinarie dimensioni della città erano dovute a una immigrazione costante alimentata dalle campagne e dai centri minori del Regno di cui dal 1266 Napoli diventa capitale. Le ragioni economiche sono alla base delle grandi dimensioni della città. La monarchia aveva accentrato in Napoli la vita amministrativa e giudiziaria dell’intero Mezzogiorno. Si ricorda che in questo periodo fu affidata ad una potente e agiata famiglia in quanto Viceré, ovvero alter ego del sovrano. L’impianto urbanistico della città era ancora dovuto, a parte qualche piccola modificazione, a quello dei coloni greci che l’avevano fondata nel V secolo a. c. Vi era una fitta rete di strade lunghe e anguste, sulle quali gli alti fabbricati incombevano massicci e continui, togliendo luce e arie ai piani inferiori e alle vie, ma fornendo fresca ombra nelle giornate calde. Tutto ciò dava un senso di affollamento in ogni luogo. Con la folla, ritroviamo anche il rumore. L’edilizia, perciò, era la maggiore delle attività economiche cittadine. Vi era poi un’intesa attività politica, amministrativa, giudiziaria e militare. Ma ciò non bastava a dare lavoro a tutti gli abitanti. L’afflusso verso la capitale era sollecitato proprio dalle grandi possibilità di lavoro che ad un certo punto divenne solo un mito.
Col crescere della città, il governo aveva avuto come preoccupazione principale che la capitale del Regno rimanesse tranquilla e che si prevenisse ogni forma di rivolta e disordini. Per questo, si assicurava sempre il vettovagliamento alla città, anche in caso di carestia e di alti prezzi. L’amministrazione cittadina provvedeva soprattutto al rifornimento di grano. Ciò contribuì a trasformare i napoletani in un popolo di mangiamaccheroni.
Nel secolo XVIII si cambia registro. Il senso di sicurezza, grandezza e futuro si perde. La cultura illuministica mette sotto accusa la capitale, smascherando l’arretratezza in cui vive il Mezzogiorno rispetto all’economia e alla cultura europea. Il fisco regio, gli ecclesiastici, feudatari e ecc appaiono come parassiti di Napoli. Si auspica quindi un rinnovamento dell’agricoltura, una riforma della proprietà e una promozione dei commerci. Il riformismo illuministico ebbe però successi parziali e tardivi.
Ideologia e sociologia del patronato di san Tommaso d’Aquino (1605).
San Tommaso d’Aquino fu aggiunto, come ottavo patrono di Napoli, ai precedenti sette (Gennaro, Atanasio, Agrippino, Aspreno, Severo, Eufebio e Agnello) nel 1605. Tommaso fu il primo patrono proclamato in età moderna. Ciò fu concesso dalla Chiesa tramite un breve documento di papa Clemente VIII. Il breve, però, premetteva che gli Angeli non proteggono solo i singoli, così come i Santi. Essi sono un bene comune a tutta l’umanità. Il busto e la teca argentea del nuovo Patrono, in cui fu chiusa la reliquia già posseduta dalla città, furono posti accanto a quelli degli altri patroni di Napoli e parteciparono alle grandi processioni della Chiesa napoletana. Ma non vi fu forte aggregazione culturale, né devozione particolare per il nuovo santo patrono. Gli stessi Domenicani non sembravano aver incrementato a Napoli culto e devozione per san Tommaso al di là di quanto non facessero prima.

Tratto da NAPOLI DAL 400 AL 600 di Gabriella Galbiati
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