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La creazione narratvia del sè


Anche l'idea del sé è bizzarra, tale e quale a quella del narrare. Intuitivamente sappiamo cos'è ma su un piano teoretico ci sfugge. Sembra anzi che l'unica maniera per rappresentarlo sia puntare il dito contro il petto o contro la testa. Eppure il sé è moneta corrente, considerato che non c'è conversazione in cui prima o poi non venga coinvolto.
Sarà forse che dentro di noi c'è un qualche Sé essenziale che sentiamo il bisogno di mettere in parole. Chiediamoci allora che funzione assolve questo parlare di Sé. In realtà non è che sia dato conoscere un Sé intuitivamente evidente ed essenziale, che attende di essere rappresentato con parole. Noi piuttosto costruiamo e ricostruiamo continuamente un Sé secondo ciò che esigono le situazioni che incontriamo, con la guida dei nostri ricordi del passato e delle nostre speranze e paure per il futuro. Non che queste storie si debbano creare ogni volta partendo da zero. Noi sviluppiamo abitudini. Le nostre storie che creano il Sé col tempo si accumulano, si dividono addirittura in generi. Gli stessi ricordi diventano vittime delle nostre storie creatrici del Sé. Non che io non possa più raccontare la storia vera, solo la racconterò in tanti modi, ciascuno modellato dalla mia vita e dalle circostanze.
L'anomalia della creazione del Sé sta nel suo avvenire dall'interno non meno che dall'esterno. Il suo lato interiore, come amiamo dire con mentalità cartesiana, è costituito dalla memoria, dai sentimenti, dalle idee, dalle credenze, dalle soggettività. Ma gran parte della creazione del Sé è fondata anche su fonti esterne: l'apparente stima degli altri e le innumerevoli attese che deriviamo assai presto, addirittura inconsapevolmente, dalla cultura nella quale siamo immersi. Per di più gli atti narrativi diretti a creare il Sé sono tipicamente guidati da modelli culturali taciti e impliciti di ciò che esso dovrebbe e potrebbe essere e naturalmente di ciò che non deve essere. Non si tratta di essere schiavi della cultura piuttosto di essere immersi in troppi possibili e ambigui modelli del Sé. Ma tutti questi precetti per la creazione del Sé non sono tutti d'un pezzo dato che la creazione del Sé è il principale strumento per affermare la nostra unicità. La nostra unicità, infatti, deriva dal distinguerci dagli altri paragonando le descrizioni che ci facciamo di noi stessi con quelle che gli altri ci forniscono di sé stessi. Ciò aumenta l'ambiguità giacché noi abbiamo sempre presente la differenza che passa tra ciò che ci raccontiamo di noi stessi e ciò che riveliamo agli altri. Dipende da come noi crediamo che loro pensino che dovremmo essere fatti.
Un avveduto studioso dell'autobiografia ha avanzato l'ipotesi che i racconti del Sé si modellino su un tacito patto autobiografico che governa ciò che costituisce l'appropriata narrazione pubblica del sé. Ne seguiamo una qualche variante anche quando semplicemente ci raccontiamo noi stessi. In questo processo, l'identità diventa res publica, anche quando parliamo di noi stessi. Non occorre dunque fare un balzo nel postmoderno per concludere che il Sé è anche l'Altro. È interessante notare che gli antichisti scorgano questo fenomeno anche nel mondo classico. L'arte retorica dei Romani, inventata all'inizio per convincere gli altri, non finì poi per rivolgersi all'interno, per narrare il Sé?
Eppure un dubbio rimane: tutto ciò non produce un effetto a spirale? Un procedimento privato come la creazione del Sé non diventa così un trastullo degli strumenti e delle istituzioni creati da una cultura?
Ai nostri giorni la questione dell'identità sembra avere acquistato un carattere sorprendentemente pubblico. Innumerevoli libri ci istruiscono su come migliorarla, per evitare di divenire divisi, narcisisti, isolati o spostati. Gli psicologi sperimentali ci mettono in guardia dagli errori nel giudicare il Sé, e ci avvertono che noi di solito vediamo gli altri guidati da persuasioni e disposizioni permanenti, mentre consideriamo noi stessi più sottilmente governati dalle nostre circostanze: è quello che essi chiamano l'errore primario di attribuzione. La creazione e la narrazione del Sé sono un'attività non meno pubblica di qualunque altro atto privato, come pure la critica ad esse rivolta.

Tratto da PEDAGOGIA GENERALE di Gherardo Fabretti
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