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Conseguenze politiche della crisi del 1929: la crisi europea e il New Deal americano


In Europa, al declino delle attività produttive e commerciali, si sovrappose una crisi finanziaria che ebbe le sue prime dimostrazioni in Austria e Germania dove si giunse al collasso del sistema bancario. I crolli provocarono un allarme incontrollato sulla solidità delle finanze inglesi e sulla tenuta della sterlina. Nel settembre ’31 la valuta inglese fu svalutata. Influì negativamente anche la sostanziale impreparazione delle autorità politiche ad affrontare un cataclisma economico di quella portata. La spesa pubblica venne drasticamente tagliata e furono imposte nuove tasse. Questi provvedimenti compressero ulteriormente la domanda interna, aggravando quindi la recessione e la disoccupazione. Fu solo col riarmo e la guerra che l’Europa e il mondo uscirono dalla grande depressione. In Germania le conseguenze della crisi si fecero sentire più che in ogni altro stato europeo perché ancora aggravata dall’onere delle riparazioni. Nel Marzo ’30 la guida del governo passò ad un esponente del centro cattolico, Heinrich Bruning, che nel ’32 fece ridurre sensibilmente l’entità delle riparazioni in una conferenza internazionale e ne fece sospendere il versamento per 3 anni, trascorsi i quali comunque i pagamenti non furono mai ripresi. In Francia la crisi giunse in ritardo ma durò più a lungo anche perché i governi vollero legare il loro prestigio alla difesa del franco, ritardando fino al ’37 la svalutazione della moneta. In Gran Bretagna, il ministero guidato dal laburista McDonald cercò di fronteggiare la crisi con un programma che prevedeva, fra l’altro, un drastico taglio del sussidio ai disoccupati. Fu sotto questo governo che la Gran Bretagna svalutò la sterlina. Nel ’33-’34 l’Inghilterra cominciava ad uscire dalla crisi con notevole anticipo rispetto agli altri paesi industrializzati.

Nel Novembre ’32 si tennero negli USA le elezioni presidenziali, vinte da Franklin Delano Roosvelt, che nel Marzo ’33 annunciò di voler iniziare un “new deal” nella politica economica e sociale: un nuovo stile di governo che si sarebbe caratterizzato soprattutto per un più energico intervento dello stato nei processi economici. Il New Deal fu avviato immediatamente per arrestare il corso della crisi. Tra gli strumenti del New Deal da ricordare l’”agricultural adjustment act” (AAA), che si proponeva di limitare la sovrapproduzione nel settore agricolo; il “national industrial recovery act” (NIRA), che comprendeva codici di comportamento volti a evitare le conseguenze di una concorrenza troppo accanita tra le imprese ma anche a tutelare i diritti dei lavoratori; e il “Tennessee valley authority” (TVA) col compito di sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee. La riduzione della produzione agricola prevista dall’AAA arrestò la caduta dei prezzi ma causò l’espulsione dalle campagne di vaste masse di contadini senza lavoro. Alla fine del ’34 gli investimenti erano ancora stagnanti mentre i disoccupati raggiungevano gli 11 milioni. Per porre rimedio a questa situazione, il governo potenziò ulteriormente l’iniziativa statale. Con questa politica progressista, Roosvelt si guadagnò l’appoggio del movimento sindacale che attraversò una fase di espansione grazie anche a un’ondata di lotte operaie senza precedenti nella storia americana. D’altra parte le novità del New Deal e i suoi risultati non sempre brillanti diedero spazio al formarsi di un’ampia coalizione anti-roosveltiana.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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