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Economia, cultura, società e ideali del fascismo


Durante il periodo fascista, l’Italia si sviluppò secondo la tendenza di tutta l’Europa e nello stesso periodo si accentuò l’urbanizzazione. Nonostante questi segni di sviluppo, alla vigilia della seconda guerra mondiale l’Italia era ancora un paese fortemente arretrato e il suo distacco dalle grandi potenze europee non si era ancora ridotto.

Il fascismo dedicò un’attenzione molto particolare al mondo della cultura e della scuola. La scuola italiana era stata profondamente ristrutturata già dal ’23 con la riforma Gentile che sanciva il primato delle discipline umanistiche rispetto a quelle tecniche. L’unica a godere di un’autonomia maggiore fu l’Università, che si allineò su una posizione di sostanziale adesione al regime.

Il fascismo italiano decise di adottare la formula del corporativismo, con una gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive organizzate appunto in corporazioni distinte per settore di attività e comprendenti sia gli imprenditori che i lavoratori dipendenti. Dopo un inizio liberista per incoraggiare l’iniziativa privata, nell’estate del ’25 il nuovo ministro delle finanze Volpi inaugurò una politica fondata sul protezionismo, accentuando l’intervento statale nell’economia. Primo importante provvedimento fu il dazio sui cereali, accompagnato da una campagna propagandistica chiamata “battaglia del grano” il cui scopo era il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore dei cereali. La seconda battaglia imposta dal binomio Mussolini-Volpi fu quella per la rivalutazione della lira, con l’obiettivo di fissare la “quota 90”, ossia 90 lire per 1 sterlina. L’obiettivo fu raggiunto in poco più di un anno attraverso un prestito da banche statunitensi e un limitato accesso al credito. A goderne però non furono i lavoratori dipendenti, che si videro tagliare stipendi e salari. Tutto questo avvantaggiò soprattutto le grandi imprese e favorì i processi di concentrazione aziendale.

Per affrontare la crisi economica che gravava in Europa, il regime scelse di agire su due linee: lo sviluppo dei lavori pubblici come strumento per rilanciare la produzione; l’intervento diretto o indiretto dello stato a sostegno dei settori in crisi. La politica dei lavori pubblici ebbe il suo sviluppo negli anni ’30, col gigantesco programma di bonifica integrale che avrebbe dovuto portare al recupero e alla valorizzazione delle terre incolte o mai coltivate. Fu portata a termine nel giro di soli 3 anni (’31-’34) la bonifica dell’agro pontino, che rappresentò un grosso successo propagandistico. Il passo successivo fu la creazione dell’IMI prima, e poi nel ’33 dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale): lo stato italiano diventa quindi non solo stato banchiere ma anche stato imprenditore, poiché si trovò a controllare una grossa quota dell’apparato industriale e bancario.

Nel movimento fascista fu sempre presente una forte componente nazionalistica, diversamente dalla Germania sconfitta in guerra, l’Italia fascista non aveva da avanzare rivendicazioni territoriali. La delusioni subite a Versailles contribuirono a rendere più tesi i rapporti con la Francia (ma non con la Gran Bretagna).  Mentre si accordava con le democrazie occidentali per contrastare il riarmo tedesco, Mussolini stava già preparando l’aggressione all’impero Etiopico, per dare sfogo alla vocazione imperiale del fascismo e per far passare in secondo piano i problemi economico-sociali del paese. I governi francese ed inglese erano disposti ad assecondare le mire italiane ma non potevano accettare che uno stato indipendente fosse cancellato. Così quando nell’ottobre ’35 l’Italia diede inizio all’invasione dell’Etiopia i governi francese ed inglese condannarono l’azione, vietando di esportare in Italia merci necessarie all’industria bellica, queste decisioni approfondirono il contrasto e Mussolini potè presentare l’Italia come vittima di una congiura internazionale. Le piazze si riempirono di folle inneggianti Mussolini e la guerra. Il 5 maggio ’36 le truppe del comandante Badoglio entrarono in Addis Abeba. 4 giorni dopo Mussolini annunciava alle folle plaudenti la riapparizione dell’impero e offriva al re la corona di imperatore di Etiopia. Se tale successo diede a molti la sensazione di grande potenza, l’Italia non era affatto in grado di affrontare uno scontro con un'altra potenza, l’Italia si riavvicinò così alla Germania nell’ottobre ’36 con la firma dell’Asse Roma-Berlino che non assunse tuttavia la forma di una vera alleanza militare. Nel ’39 il Duce privato di ogni margine di azione fu costretto a firmare un patto d’alleanza con la Germania: il “Patto d’Acciaio”.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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