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Il decollo industriale italiano del XIX sec.


A partire dagli ultimi anni del XIX secolo, l’Italia conobbe, dopo i primi incerti passi compiuti negli anni ’80, il suo primo e autentico decollo industriale. Il decollo industriale fece sentire i suoi effetti anche sul tenore di vita della popolazione, era insomma la qualità della vita degli italiani che cominciava a mutare, sia pur lentamente e parzialmente, di pari passo con lo sviluppo economico. Questi progressi, tuttavia, non furono sufficienti a colmare il divario che ancora separava l’Italia dagli Stati più ricchi e industrializzati. L’analfabetismo era ancora molto elevato, l’emigrazione verso l’estero, anzichè diminuire in coincidenza con lo sviluppo economico, crebbe fino a raggiungere la cifra impressionante di 870.000 partenze nel solo 1913.
Su una realtà complessa e contraddittoria come quella dell’Italia all’inizio del ‘900 si esercitò per oltre un decennio l’opera di governo di Giovanni Giolitti. Chiamato alla guida del governo nel novembre 1903, dopo le dimissioni di Zanardelli, Giolitti cercò non soltanto di portare avanti l’esperimento liberal-progressista avviato dal precedente ministero, ma anche di allargarne le basi offrendo un posto nella compagine governativa al socialista Filippo Turati, ma il leader socialista rifiutò l’offerta, che giudicava prematura e temeva, non a torto, di non essere seguito dal suo partito. Giolitti finì col costituire un ministero nettamente spostato al centro e aperto alla partecipazione di elementi conservatori. Nel 1904 furono condotte in porto le prime importanti “leggi speciali” per il Mezzogiorno: quella per la Basilicata e quella per Napoli, volte a incoraggiare la modernizzazione dell’agricoltura e, nel caso di Napoli, lo sviluppo industriale mediante una serie di stanziamentei statali e di agevolazioni fiscali e creditizie. Un altro importante progetto elaborato da Giolitti nel 1904-05 fu quello relativo alla statizzazione delle ferrovie, ancora affidate alla gestione di compagnie private. Il progetto incontrò, però, diffuse opposizioni sia a destra che a sinistra: i socialisti, in particolare, lo avversarono perchè prevedeva il divieto di sciopero per i ferrovieri una volta diventati dipendenti pubblici. Di fronte a queste difficoltà, Giolitti si dimise con un pretesto, lasciando la guida del governo ad Alessandro Fortis secondo una tattica che avrebbe messo in atto anche successivamente e che consisteva nell’abbandonare le redini del potere nei momenti difficili per poi riprenderle in condizioni più favorevoli, difando sul controllo della maggioranza parlamentare. Fortis restò al governo meno di un anno: il tempo necessario per condurre in porto la legge sulla statizzazione delle ferrovie, e vita ancor più breve ebbe il successivo ministero guidato da Sidney Sonnino. Nel maggio 1906 Giolitti tornò alla guida del governo e vi restò ininterrottamente per tre anni e mezzo. La congiuntura favorevole che durava dal 1896 si interruppe però nel 1907, quando si manifestarono anche in Italia i sintomi di una crisi internazionale che si tradusse in forti difficoltà per le banche e per le imprese dipendenti dai loro crediti. La crisi fu superata in tempi relativamente brevi, grazie anche al tempestivo intervento della Banca d’Italia. Già dal 1908 la crescita riprese, ma le lotte sociali conobbero un brusco inasprimento, e l’atteggiamento degli industriali, che in questo periodo cominciarono a unirsi in associazioni padronali per poi dar vita, nel 1910, alla Confederazione Italiana dell’Industria (Confindustria), si fece più duro nei confronti della controparte operaia e più diffidente rispetto alle iniziative sociali dei pubblici poteri. Nel dicembre 1909 Giolitti attuò una nuova “ritirata strategica”, aprendo la strada a un secondo governo Sonnino, destinato anch’esso a vita vrevissima, e a un successivo governo Luzzatti, che avviò fra l’altro una importante riforma scolastica (la legge Daneo-Credaro, che avocava allo Stato, sottraendolo ai comuni, l’onere dell’istruzione elementare). Nel marzo 1911 Giolitti tornò al governo con un programma decisamente orientato a sinistra, il cui punto cardine era la proposta di estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto trent’anni e a tutti i maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o avessero prestato servizio militare. Ciò che Giolitti proponeva era in pratica il suffragio universale maschile, ormai in vigore del resto in buona parte dei paesi europei. Un altro punto importante del programma giolittiano era l’istituzione di un monopolio statale delle assicuzazioni sulla vita, i cui proventi sarebbero serviti a finanziare il fondo per le pensioni di invalidità e vecchaia per i lavoratori. La legge sull’allargamento del suffragio e quella sul monopolio delle assicurazioni, approvate nel 1912, rappresentarono il punto più alto del riformismo di Giolitti, ma il loro significato politico fu oscurato dalla contemporanea decisione del governo di procedere alla conquista della Libia, una vicenda che contribuì non poco ad alterare i tradizionali equilibri politici e a mettere in crisi l’intero sistema giolittiano.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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