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L'evoluzione politica della Germania dopo la sconfitta della Prima Guerra Mondiale


Al momento della firma dell’armistizio, lo Stato tedesco si trovava in una situazione tipicamente rivoluzionaria. L’esercito, una volta ripiegato sulla linea del Reno, si disgregò e centinaia di migliaia di soldati si riversarono nel paese, spesso portando con sé le proprie armi. Il governo legale era esercitato da un Consiglio dei commissari del popolo presieduto dal socialdemocratico Ebert e composto esclusivamente da socialisti (compresi gli “indipendenti” dell’Uspd, la frazione di sinistra staccatasi dalla Spd nel ’17). Ma nelle città i veri padroni della situazione erano i consigli degli operai e dei soldati, che occupavano aziende e sedi di giornali, dettavano le loro condizioni agli industriali e ai rappresentanti dei poteri legali. A Berlino, roccaforte dell’estrema sinistra, dove i disoccupati erano oltre duecentomila e le strade erano piene di soldati armati, si susseguivano le manifestazioni e gli scontri di piazza. Ma c’erano gli eserciti vincitori schierati lungo il Reno e pronti a intervenire per bloccare ogni sviluppo rivoluzionario. I leader socialdemocratici erano decisamente contrari a una rivoluzione di tipo sovietico e favorevoli a una democratizzazione del sistema politico entro il quadro delle istituzioni parlamentari. I capi dell’esercito stabilirono con i leader socialdemocratici una specie di patto non scritto, impegnandosi a servire legalmente le istituzioni repubblicane in cambio di garanzie circa la tutela dell’ordine pubblico e il mantenimento della tradizionale struttura gerarchica delle forze armate. La linea moderata scelta dalla Spd portava fatalmente allo scontro con le correnti più radicali del movimento operaio tedesco: gli “indipendenti” dell’Uspd e soprattutto i rivoluzionari della Lega di Spartaco. Il 5-6 gennaio 1919, centinaia di migliaia di berlinese scesero in piazza per protestare contro la destituzione di un esponente della sinistra dalla carica di capo della polizia della capitale. I dirigenti spartachisti e alcuni leader “indipendenti” decisero allora di approfittare di questa mobilitazione di massa e diffusero un comunicato in cui si incitavano i lavoratori a rovesciare il governo. Ma la risposta del proletariato berlinese fu inferiore alle aspettative. Durissima fu invece la reazione del governo socialdemocratico che, non potendo contare su un esercito efficiente, si servì per la repressione di squadre volontarie (i cosiddetti Freikorps, ossia “corpi franchi”). Nel giro di pochi giorni i Freikorps schiacciarono nel sangue l’insurrezione berlinese. I leader del movimento spartachista furono arrestati e trucidati da ufficiali dei corpi franchi. Il 19 gennaio, poco dopo la fine della rivolta spartachista, si tennero le elezioni per l’Assemblea costituente. I socialdemocratici si affermarono come il partito più forte. L’accordo fra socialisti, cattolici e democratici rese possibile l’elezione di Ebert alla presidenza della Repubblica e il varo della nuova costituzione repubblicana. Nè la convocazione della Costituente nè il varo della costituzione di Weimar (agosto ’19) valsero però a riportare la tranquillità nel paese. Ai primi di marzo vi furono nuovi disordini a Berlino, repressi con notevole spargimento di sangue. In primavera l’epicentro del moto rivoluzionario si spostò in Baviera, dove comunisti e “indipendenti” avevano proclamato una Repubblica dei consigli, stroncata alla fine di aprile, dopo duri combattimenti, dall’intervento dell’esercito e dei corpi franchi. Anche in seguito i comunisti continuarono a organizzare manifestazioni di piazza e veri e propri tentativi insurrezionali. Ma ancora più grave era la minaccia che veniva dall’estrema destra. Furono proprio i generali a diffondere la leggenda della pugnalata alla schiena: quella secondo cui l’esercito tedesco sarebbe stato ancora in grado di vincere se non fosse stato tradito da una parte del paese. Si trattava di una leggenda priva di qualsiasi fondamento; ma essa servì ugualmente a gettare discredito sulla Repubblica. Di ciò fecero le spese soprattutto i socialdemocratici. Nelle elezioni del giugno 1920 la Spd subì una secca sconfitta e dovette cedere la guida del governo ai cattolici di Centro. Simili per molti aspetti a quelle della Germania furono le vicende austriache. Furono i socialdemocratici a governare il paese mentre i comunisti tentarono ripetutamente, senza fortuna, la carta dell’insurrezione. Nel 1920, però, le elezioni videro prevalere il voto clericale e conservatore delle campagne e la maggioranza assoluta andò al Partito cristiano-sociale. Breve e drammatica fu la vita della Repubblica democratica in Ungheria: dove i socialisti, anzichè far blocco con le forze liberali si unirono ai comunisti per instaurare, nel marzo 1919, una Repubblica sovietica, che attuò una politica di dura repressione nei confronti della borghesia e dell’aristocrazia agraria. L’esperimento durò poco più di quattro mesi: ai primi di agosto, il regime guidato dal comunista Bela Kun cadde sotto l’urto convergente delle forze conservatrici guidate dall’ammiraglio Miklos Horthy e delle truppe rumene, che avevano invaso il paese con l’appoggio di Inghilterra e Grancia. Horthy si insediò al potere scatenando un’ondata di “terrore bianco”. L’Ungheria cadeva così sotto un regime autoritario sorretto dalla Chiesa e dai grandi proprietari terrieri.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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