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L'invasione del Kuwait di Saddam Hussain e il conflitto israelo-palestinese


Nell’agosto ’90 il dittatore dell’Iraq Saddam Hussain, già protagonista della guerra di aggressione contro l’Iran, invase il piccolo Kuwait: uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio, e ne proclamò l’annessione all’Iraq. L’invasione del Kuwait mirava in realtà al controllo dell’intera penisola arabica ossia del 40% delle risorse petrolifere mondiali e per questo fu subito condannata dalle Nazioni Unite con l’embargo (ossia la sospensione dei rapporti commerciali con l’aggressore). Contemporaneamente gli USA inviavano in Arabia Saudita un corpo di spedizione a cui si univano anche alcuni stati europei ed una parte dei paesi arabi tra cui Egitto e Siria, allo scopo di costringere al ritiro Saddam. Il dittatore Iracheno reagì cercando di stabilire un collegamento tra l’occupazione del Kuwait e il problema dei territori palestinesi occupati da Israele. L’appello trovò notevole eco tra i paesi arabi, e in particolare tra i palestinesi dell’OLP il cui leader Arafat si schierò a fianco dell’Iraq. Alla fine di novembre ’90 l’ONU lanciò un ultimatum che imponeva all’Iraq di ritirarsi dal Kuwait entro il 15 gennaio, nella notte tra il 16 e 17 gennaio ’91 la forza multinazionale scatenò un violento attacco aereo contro obiettivi militari in Iraq e nel Kuwait, Saddam rispondeva lanciando missili con testate esplosive sulle città dell’Arabia Saudita e di Israele (che pur si faceva i cazzi suoi) e minacciando il ricorso alle armi chimiche. Alla fine di febbraio scattava l’offensiva di terra contro le forze irachene in Kuwait, l’esercito iracheno cedeva di schianto abbandonando precipitosamente il Kuwait non prima però di averne incendiato gli impianti petroliferi con conseguenze gravissime sull’economia mondiale. Saddam Hussain era sopravvissuto politicamente alla sconfitta, ma gli USA risultavano trionfatori essendo riusciti a riscattare il proprio prestigio militare ancora appannato dalla vicenda del Vietnam. Nell’ottobre ’91 fu convocata a Madrid una conferenza di pace sul medio oriente, ma la svolta storica si ebbe nel ’93 quando il nuovo primo ministro di Israele Itzhak Rabbin e il ministro degli esteri Perez rimossero il principale ostacolo al progresso dei negoziati e trattarono direttamente con l’OLP: il primo accordo era fondato sul reciproco riconoscimento e su una avvio graduale dell’auto governo palestinese nei territori occupati. Il 13 settembre ’93 l’accordo fu solennemente sottoscritto a Washington da Rabbin e Arafat, ma sul negoziato gravava il peso di numerose questioni aperte: la sorte di Gerusalemme, l’atteggiamento ostile della Siria, l’opposizione della destra nazionalista Israeliana, la minacci dei movimenti integralisti islamici di Hamas. L’attività terroristica dei gruppi integralisti portò il 4 novembre ’95 all’uccisone dei Rabbin per mano di un giovane estremista israeliano. Alle elezioni politiche del ’96 venne eletto Benjamin Netanyahu, nel ’98 Netanyahu e Arafat firmavano un nuovo accordo che fissava i tempi del ritiro israeliano dai territori occupati in cambio di un più forte impegno dell’autorità palestinese nella repressione del terrorismo. Nell’estate 2000 il presidente Clinton convocò le parti per una nuova tornata di colloqui di pace a Camp David, lo stesso luogo in cui nel ’78 era stato negoziato il primo accordo tra Egitto e Israele. Gli israeliani si mostrarono disposti a trattare anche su problemi come quello di Gerusalemme ma l’accordo fu però ancora una volta mancato e da una pace mancata per poco si passò ad una nuova situazione di scontro. A innescarlo fu una visita compiuta da Sharon (leader della destra Israeliana) alla spianata delle moschee di Gerusalemme: una provocazione agli occhi dei palestinesi che reagirono una seconda Intifada. L’inasprirsi dello scontro portò nel febbraio 2001 a nuove elezioni che videro la netta vittoria del centro destra di Sharon. La situazione si andò continuamente deteriorando: la decisione del governo di Gerusalemme di costruire una barriera difensiva per proteggere i confini storici dei Israele fu condannata da buona parte della Comunità Internazionale per il suo carattere unilaterale, ugualmente unilaterale fu la decisone di Sharon di procedere al ritiro della striscia di Gaza.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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