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La marca e il modello culturale


La marca non è criticabile solo per la sua interessata indifferenza per i valori estetici.
E’ sicuramente difatti censurabile anche la scelta del modello culturale che privilegia una particolare fascinazione per le griffe egocentriche, edonistiche, per l’esaltazione di valori materiali fino a giungere  all’elogio della droga.
In Giappone, per esempio, si verificano episodi di prostituzione volti a soddisfare il bisogno del tutto voluttuario e superficiale di disporre di capi firmati Louis Vitton o Prada.
Questo fenomeno è interpretato dal teologo Giuseppe Angelici, nella sua opera ”Le ragioni della scelta”, come una manifestazione di “fariseismo” della moda --> consumatore crede che marche dettano regole comportamentali.
Si tratta effettivamente di un impulso psicologico che spinge il consumatore a seguire ciecamente ciò che egli crede essere regola di comportamento. 
I più esposti sono, ovviamente, gli individui dalla debole personalità, incerti o non ancora affermati, che trovano nella moda un facile rifugio in cui l’apparenza dissimula la sostanza e dove il giudizio sull’esteriorità degli altri diviene più importante del giudizio sui propri valori anche quando questo sono rilevanti.
Anche a questo riguardo la marca in sé non è meno responsabile della gestione che di essa viene fatta. 
Si tratta invero di una riprovevole quanto inspiegabile indifferenza per gli effetti perversi, per una  mancanza di ritegno nella comunicazione, per insomma, tutto ciò che finisce poi col tempo con il  ritorcersi contro essa marca.
E’ un “…carpe diem nec minime credula postero…” che ben poco si attaglia alla strategia del rendiconto anche a lungo termine. 

Tratto da PROLOGO. LE MARCHE COME FATTORI DI PROGRESSO di Priscilla Cavalieri
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