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Il modello ridescrizione rappresentazionale (RR) di Karmiloff-Smith



Le rappresentazioni nel corso dello sviluppo si modificano attraverso l’accumulo di diverse informazioni. In particolare il funzionamento cognitivo è basato in ogni momento dello sviluppo da una ridescrizione delle info rappresentate nella mente, che passano da un formato implicito procedurale (non consapevole, basato sulle azioni) a un formato esplicito, astratto e manipolabile. Questa ridescrizione può dar luogo poi a cambiamenti qualitativi (discontinui) nella prestazione e nel comportamento del bambino (esempio della iper regolarizzazione dei verbi). Però in questo senso è necessario distinguere tra la prestazione comportamentale del soggetto e lo status rappresentazionale della conoscenza contenuta nel sistema:
- Al cambiamento comportamentale non corrisponde necessariamente un cambiamento nella stessa direzione delle rappresentazioni che fanno da supporto al comportamento osservato
- La padronanza del comportamento non corrisponde necessariamente al punto di arrivo nella progressione evolutiva all’interno di un particolare dominio

Per dimostrare questo cambiamento nel formato delle rappresentazioni Karmiloff-Smith fa un esperimento, chiamato esperimento sulla legge della leva -> i soggetti sono bambini di 4,6,9 anni e hanno dei blocchetti rettangolari, che possono essere simmetrici dal punto di vista percettivo e fisico, simmetrici solo dal punto di vista percettivo (ma non fisico perché dentro c’è un piombino che li rende più pesanti da una parte) e asimmetrici sia dal punto di vista percettivo che fisico. Devono far stare in equilibrio questi blocchetti su un perno di metallo sul quale c’è una leva. Qual è la prestazione dei bambini? La prestazione ha una curva a U in funzione dell’età -> a 4 anni riescono nel compito, a 6 anni l’accuratezza precipita e a 9 anni l’accuratezza cresce ancora -> perché non vi è un incremento graduale? A 4 anni il bambino prende il blocchetto e lo mette sulla leva, poi per prove ed errori arriva alla soluzione, senza alcuna teoria in testa su come i blocchetti dovrebbero comportarsi. A 6 anni i bambini hanno una teoria in testa e sanno che quelli simmetrici si dovrebbero comportare in un modo e quelli asimmetrici in un altro, si formano una regola e la applicano, però questa regola non si può applicare sempre (ad esempio ai blocchetti che sembrano simmetrici, e quindi dovrebbero seguire quella regola, ma in realtà non simmetrici perché dentro hanno un pesetto che li rende asimmetrici) quindi la loro prestazione precipita. A 9 anni i bambini hanno sempre una regola, che è così esplicita da rendersi conto che non sempre è vera e vi sono dei blocchetti che non la seguono. Quindi a 4 anni l’apprendimento è basato sui dati (cioè sulle informazioni provenienti dall’ambiente), ed è quindi in un formato implicito: l’info è codificata in modo procedurale (il bimbo fa un’azione), le procedure sono sequenziali (ne fa una alla volta), le nuove rappresentazioni vengono immagazzinate in modo indipendente da quelle già esistenti (non mette in relazioni le rappresentazioni dei vari blocchetti), quindi le rappresentazioni sono isolate. La prestazione quindi è buona (e culmina con la padronanza comportamentale dato che il bambino alla fine riesce nel compito), però non è flessibile. A 6 anni nasce il modello teorico e quindi il bambino è in grado di lavorare sulle proprie rappresentazioni interne. Tuttavia vi è un calo della prestazione perché seppure il bambino sappia classificare i blocchetti in 3 categorie, non capisce perché una di queste categorie non si comporta come previsto dalla sua regola. Nella fase 3 infine le rappresentazioni sono completamente accessibili alla coscienza e verbalizzabili -> formato esplicito. Questo vuol dire anche che le regole possono essere modificate, essendo accessibili alla coscienza. In sintesi: da cosa è causato l’andamento a U nell’efficienza della rappresentazione?
• 4 anni: i bambini risolvono il compito utilizzando una procedura basata sulla retroazione propriocettiva (cioè la prestazione è guidata dal percetto)
• 6 anni: utilizzano una teoria in atto non ancora verbalizzabile che li porta a ignorare le informazioni di ritorno negative (che violano la loro teoria) provenienti dall’ambiente
• 9 anni: risolvono il compito usando la retroazione propriocettiva e in più possiedono una conoscenza esplicita della legge della leva che sono in grado di verbalizzare.

Questo modello, che sembra molto astratto, ha dei riscontro molto quotidiani -> esempio: come fa il bambino ad imparare i giorni della settimana? A partire da un formato implicito, in cui ad esempio usa una cantilena in cui sono presenti i nomi di tutti i giorni quindi se gli si chiede che giorno e non lo sa dire e se gli si chiede di dire cosa viene dopo mercoledì deve ripetere tutta la filastrocca). Poi mano a mano che procede lo sviluppo il formato diventa esplicito: prima il bambino è in grado di dire i giorni della settimana a partire da qualunque giorno, poi sa dire che giorno è, e infine sviluppa il concetto di settimana come quantificatore temporale (1 mese è fatto da 4 settimana, 1 settimana da 7 giorni ecc).
Quindi in realtà nella nostra mente esistono rappresentazioni multiple dei diversi concetti -> una volta che si arriva al livello esplicito non è detto che tutte le conoscenze che ho siano esplicite, ma alcune lo sono e altre no (ad esempio tutti sanno come funziona la forza di gravità, ma non è detto che tutti sappiano con esattezza la formula). Non vi è dicotomia tra conoscenza implicita e conoscenza esplicita, ma esistono molteplici livelli intermedi tra l’informazione procedurale implicita e la conoscenza dichiarativa esprimibile verbalmente.
Quindi KS dice che non dobbiamo accontentarci del livello della prestazione per sapere cosa avviene nella mente del bambino, dato che una stessa prestazione può essere supportata da strategie anche molto diverse (supportate da conoscenze implicite o esplicite) in bambini di età diverse o in bambini con sviluppo tipico vs atipico.  Esempio: in uno studio è stato utilizzato l’eye tracker che segue la traiettoria di sguardo dei bambini. A bambini sia inglesi che giapponesi di 7 mesi venivano presentati volti che esprimevano una emozione. I bambini inglesi quando esplorano una emozione fissano lo sguardo nella direzione degli occhi e della bocca (formano una specie di triangolo con le fissazioni), mentre i bambini giapponesi guardano molto poco la bocca e si concentrano quasi solo gli occhi. Entrambi sanno discriminare tra volto felice e triste, ma le strategie utilizzate per arrivare a questa soluzione sono diverse. Quindi il bambino molto piccolo già utilizza strategie tipiche dell’ambiente culturale in cui è cresciuto. Questo influenza anche il modo in cui inglesi e giapponesi esprimono le espressioni nelle emoticon: i giapponesi nel volto felice rappresentano la bocca con una linea orizzontale e gli occhi sono delle freccette (quindi sono gli occhi a determinare l’espressione), mentre gli occidentali rappresentano la bocca all’insù.
Un’altra cosa importante sono le differenze individuali (oltre che quelle culturali): in un altro esperimento sono stati presentati volti che esprimono emozioni diverse -> È stato trovato che la risposta di attivazione corticale dei bambini è correlata con i punteggi di una scala compilata dai genitori che misurava il grado in cui il bambino mostra distress in risposta a eventi quotidiani (negative affect) -> più i punteggi erano alti in questa scala più era alta l’attivazione corticale in risposta a volti che esprimono rabbia.

Tratto da PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO COGNITIVO di Mariasole Genovesi
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