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Caso clinico di Edoardo


Edoardo un omosessuale di circa 20 anni, entrò in terapia a causa di un sentimento di depressione, vago e diffuso e della sensazione di “essere in sospeso…non riesco a trovare me stesso”. Si era laureato di recente e aveva modi sofisticati, da gentiluomo; iniziò l'analisi con grande energia, raccontando della sua ambizione di diventare millionario. Anche se era disoccupato e non aveva un CV promettente, non prendeva in seria considerazione l'idea di coltivare i suoi interessi, né di escogitare strategie per raggiungere il suo obiettivo. Sembrava non rendersi conto delle difficoltà del compito che si era prefisso.

Si discusse spesso della vita sociale di E. nelle prime sedute. Pur essendo un uomo attraente, E. era alla continua ricerca di un altro perfetto, un uomo bello e muscoloso … che diceva che lo avrebbe 'riempito' e 'reso potente'. Le sue depressioni erano strettamente collegate a questo desiderio. La disforia regrediva quando si metteva 'a caccia', e l'obiettivo sembrava per essere raggiunto. Il senso di vuoto e fragilità tornava appena la caccia non procurava il trofeo sperato. Delusioni di questo genere lo portavano a ritirarsi. Perdeva ogni interesse per gli altri e passava lunghe ore nel suo appartamento, spesso masturbandosi.

Era bello, intelligente e attirava l'interesse di molti uomini. Tuttavia, li disdegnava con disprezzo, non provava un interesse particolare, non erano legami da sviluppare e non c'erano interessi comuni da condividere. Il suo modo di entrare in relazione sembrava un gioco di dama: le persone interessate venivano 'saltate' e eliminate dalla scacchiera senza alcuna comprensione, tutto preso com'era dalla coronazione del suo sogno.

Quando l'analista tentava di mettere in luce questi modelli, E,. si interrompeva nelle sue disquisizioni finché l'analista aveva finito, e poi riprendeva a parlare come se il contenuto delle parole non avessero alcun significato. L'intervento veniva registrato come un'interruzione nella descrizione che E. faceva della sua esperienza, interruzione che sopportava pazientemente, in attesa che l'analista tornasse ad essere un 'pubblico attento'. Un giorno, E. si interruppe improvvisamente, come se fosse stato colpito da qualcosa, studiò silenziosamente l'analista, lo guardò perplesso e disse “il grigio non è un colore adatto a lei, sa: il blu le starebbe molto meglio”. Quando l'analista espresse interesse per il commento, E. liquidò il discorso, osservando che l'analista “aveva letto troppi libri”, e dava troppa importanza a un commento casuale.

L'analista si rese conto che mentre era con questo paziente aveva fantasie fugaci, immaginava di alzarsi silenziosamente e di uscire dalla stanza, bastava rientrare a fine seduta per salutare, E. non se ne sarebbe accorto. Più disturbante era la sensazione di essere diventato invisibile, di non esistere. Rimase quindi sorpreso quando dicendo a E. che aveva necessità di annullare una seduta, E. reagì con rabbia e delusione.

Da bambino E. era sempre stato lodato entusiasticamente da sua madre, che lo considerava perfetto e che sottolineava quanto E. rappresentasse un grande miglioramento rispetto al padre. Il padre aveva abbandonato la famiglia quando E. aveva 4 anni, dopo aver sopportato per anni i maltrattamenti della moglie insoddisfatta. La madre, parlava del figlio, chiamandolo 'piccolo principe', e in seguito cominciò a presentarsi a eventi mondani con il figlio a suo fianco. Nel tempo l'analista pensò che E. sembrava cercare due tipi molto specifici di esperienze con gli altri:

• Con l'analista - un altro attento e interessato che gli permetteva di mostrarsi, rimanendo tranquillo e rassicurandolo quando era turbato o troppo eccitato.

• Con altri: un legame idealizzato e potente.

Entrambi influivano sulla sua autostima.

Man mano che E. si sentì più compreso, l'immagine di esser il figlio perfetto di mamma iniziò a recedere, descrisse un sogno:

Sognò di essere una marionetta di legno appesa a fili manipolati dalla madre. Lungi dall'essere il principino alla corte materna, ricordò angosciato il senso ricorrente di essere privo di sé, era un attore fragile e inumano, senza alcun senso di volontà personale. [sogno non latente da scoprire; per la psicologia del Sé: contenuto manifesto --> comunica gli stati del sé]. Sua madre era stata felice di esibire quel figlio, ma E. sentiva di essere usato per i bisogni materni. Non sapeva come fosse lui veramente, ciò che voleva. La madre aveva quindi offerto al figlio una combinazione micidiale, stimolando la sua grandiosità e onnipotenza e facendogli sentire che poteva 'essere qualcosa', ma allo stesso tempo trascurandolo come persona.


Tratto da PSICOLOGIA DINAMICA di Mariasole Genovesi
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