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Clima relazionale in fase di colloquio


Per tutti questi motivi è assolutamente necessario porsi in un atteggiamento avalutativo, non giudicante o meglio sospensione del giudizio: l’opinione che abbiamo di quella persona permane, non scompare ma se il professionista conosce bene sé stesso, la sua personalità, le sue reazioni egli saprà cogliere quegli stereotipi positivi e negativi che entrano comunque nella relazione e porli da parte nel momento del colloquio per poi tornarci a riflettere in un secondo momento. Tali immagini stereotipate vanno intese infatti come meccanismi di funzionamento della mente umana la quale di fronte alla complessità opera per semplificazioni e generalizzazioni. Di fronte a tutto ciò il counselor dovrà accettare questi sentimenti, per quanto negativi possano apparirgli, e lavorare su di essi a partire dal fatto che nella relazione di aiuto l’altro porta il suo vissuto, la sua personalità e più in generale il suo essere esattamente come il professionista – controtransfert - 
Una volta che si è consapevoli della propria risonanza interna di fatti, vissuti, emozioni ecc. si sospende il giudizio fino ad ulteriore approfondimento al fine di far sentire l’altro in un contesto a lui favorevole; tutto ciò quindi è funzionale alla creazione di un clima di accettazione, fiducia dove chi ci sta chiedendo aiuto si possa sentire libero di aprirsi ad uno sconosciuto che dovrà divenire lo “sconosciuto di fiducia”. Tutto questo sarà possibile solo grazie ad un atteggiamento EMPATICO, RISPETTOSO E DI ASCOLTO ATTIVO. 

Per creare un clima relazionale di questo tipo dunque occorrerà porsi: 
- in un atteggiamento non giudicante; 
- in maniera neutrale soprattutto nel primo colloquio;
- non colludere né con una parte né con l’altra: né con la scuola che ha ragione perché il figlio ha dei problemi, né con la madre che vorrebbe farsi sentir dire che suo figlio non ha bisogno della consulenza.
- Tenere presente che siamo nel colloquio con tutti noi stessi: avere quindi consapevolezza del nostro stile comunicativo;
- tenere presente che quell’incontro con quella persona in qualche modo ci modifica come del resto tutte le relazioni. 

LA MOTIVAZIONE “riguarda l’aspetto dinamico della conduzione, le fonti e la modalità di uso dell’energia psichica necessaria per l’avvio o il mantenimento di una certa attività”. Il colloquio deve essere motivato dalla conoscenza: il conduttore deve essere sinceramente motivato a conoscere umanamente l’altro e i suoi meccanismi di funzionamento mentale; allo stesso modo il soggetto deve essere in un qualche misura motivato al colloquio e al cambiamento che può scaturire dalla relazione di aiuto. Se non c’è motivazione il colloquio non può attuarsi. Accenniamo ora che il colloquio fa parte delle tecniche della domanda quali intervista e questionario: la motivazione è ciò che maggiormente differenzia il colloquio dall’intervista altrimenti molto simili tra loro. In genere per motivazione ci si riferisce a quella del soggetto più che del conduttore visto che come si è detto la motivazione del conduttore dipende anche da fattori contestuali e momentanei come la stanchezza, lo stress ecc, tanto che se il conduttore non è motivato il colloquio non si dovrebbe fare proprio. La motivazione del soggetto dunque può essere: 

ESTRINSECA: dipende da istanze esterne. Nel caso dell’intervista è quando l’interesse per l’incontro dipende riguarda prevalentemente il TEMA proposto. Nel caso del colloquio invece è quando c’è un invio coatto da parte dei servizi sociali o della scuola ecc. 
INTRINSECA: risiede dentro di noi, è la voglia o meno di partecipare al colloquio. Nel caso dell’intervista è quando l’interesse a partecipare viene dal soggetto che è motivato a partecipare alla ricerca perché il tema proposto lo riguarda personalmente nel caso di un colloquio di aiuto invece è quando il soggetto è spinto a richiedere una consulenza al fine di raggiungere il processo di conoscenza di se stesso e del suo problema. 

I due aspetti non sono mai così nettamente separati; la motivazione è sempre sia intrinseca che estrinseca: l’intervista è più centrata sul polo estrinseco mentre il colloquio in contrario. Va detto comunque che non sempre una motivazione apparentemente intrinseca poi lo è veramante: dietro alla richiesta di aiuto può esserci una motivazione scarsamente consapevole o nessuna motivazione al cambiamento. Nell’intervista la motivazione è più semplice nel senso che non si è costretti a partecipare in ogni caso è opportuno che anche l’intervista abbia una motivazione intrinseca perché se il tema presentato è totalmente lontano dal soggetto la partecipazione alla ricerca sarà carente. 

Tratto da PSICOLOGIA DINAMICA di Barbara Reanda
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