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Il neomarxismo


Gia all’epoca della contrapposizione bipolare tra Urss e Usa, l’egemonia culturale del realismo venne sfidata su almeno due fronti. Il primo prese corpo dal processo di riorganizzazione dei rapporti politici, economici e culturali tra occidente e mondo, simboleggiato dalla decolonizzazione. La diffusione di nuovi programmi di trasformazione della vita internazionale e la consapevolezza che la fine del dominio politico non era, né sarebbe bastata a spezzare i legami preesistenti di dipendenza economica, aprirono lo spazio per los viluppo di un terzo approccio: un approccio politicamente radicale e rivoluzionario che si confuse quasi sempre con il neomarxismo. Questo individuò, come l’idealismo, nelle relazioni economiche, invece che in quelle politico-militari la chiave di volta dell’ordine internazionale. Come il realismo, in tali relazioni, il neomarxismo non cercò più una via di scampo alla guerra, bensì il luogo per eccellenza della gerarchia internazionale e del conflitto. Per studiosi come Cardoso e Wallestein era la logica di economia capitalistica mondiale a riprodurre i legami di dominio e dipendenza, tanto che per sfuggire agli uni o all’altra bisognava muoversi non nella ma contro l’economia internazionale esistente: o rivoluzionandola o sganciandosi dai suoi automatismi.
Proprio l’eccentricità rispetto al mainstream storico della disciplina condannò le teorie radicali a una marginalità nel dibattito scientifico delle relazioni internazionali, destinata ad aggravarsi verso la fine del secolo prima per effetto dello sviluppo delle tigri asiatiche che premiava economie che avevano scelto di integrarsi nel sistema capitalistico mondiale e poi con il crollo dell’Unione Sovietica e dei regimi socialisti.

Tratto da RELAZIONI INTERNAZIONALI di Filippo Amelotti
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