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Crisi economica degli anni 70 e sindacato

Crisi economica degli anni 70 e sindacato


Gli orientamenti contrattuali del 1969, trovarono conferma nella successiva tornata dei contratti nazionali sia sotto il profilo dell'egualitarismo (parificazione tra operai ed impiegati) sia
sotto il profilo della stabilità dell'impiego e delle garanzie del salario. I rinnovi contrattuali del 1972-1973, ebbero come protagoniste le federazioni di categoria ed in particolare la federazione unitaria dei metalmeccanici (FLM, Federazione lavoratori metalmeccanici) nata nel 1972. Furono introdotti istituti nuovi come le cd 150 ore annuali di diritto allo studio. In linea di massima la flessibilità produttiva delle aziende venne compressa riducendo la mobilità del lavoratore e il ricorso allo straordinario da parte degli imprenditori.
Tuttavia, con la mancata ripartizione delle competenze fra i due livelli contrattuali, la firma dei contratti non garantì le aziende sulla riconquista della pace sindacale perché la conflittualità interna continuò a essere alta per la richiesta di ulteriori miglioramenti salariali. Nel panorama industriale italiano cominciò, pertanto, a verificarsi la cd disaffezione, ossia l'abbandono o il disinvestimento da parte degli imprenditori; in altri casi gli imprenditori erano attenti a non superare la soglia dei 15 dipendenti che avrebbe fatto scattare le garanzie sindacali e d'impiego previste dallo statuto dei lavoratori. Questo accentuò la frizione tra piccola e grande impresa che accompagnò la dialettica interna alla CONFINDUSTRIA negli anni '70.
Va precisato che il movimento rivendicativo del biennio '72-'73, si calava in un quadro economico internazionale ed interno difficile. Il primo scossone allo sviluppo era stata la denuncia degli accordi di Bretton Woods da parte di Nixon il 14 luglio '71 e dalla conseguente fine della parità fissa tra oro e dollaro. Ciò aveva avviato una progressiva svalutazione "competitiva" della valuta americana e l'incertezza diffusa del valore dello strumento monetario alla base delle transazioni commerciali internazionali: questo fu motivo di crisi per le esportazioni italiane che si aggiunse alla riduzione di competitività dovuta alla netta inversione della forbice profitti-salari a favore di questi ultimi.

I paesi della CEE adottarono, quindi, il cd "serpente monetario" che introduceva un cambio quasi fisso fra le monete dei paesi della comunità. Questo provvedimento non poté durare per l'insostenibilità del cambio quasi fisso per quei paesi, come l' Italia, a più alta inflazione e per lo scoppio della guerra in Kippur nell'ottobre '73 che fece lievitare il costo del petrolio.
Anche per la lira giunse il momento della svalutazione competitiva e la conseguente uscita dal "serpente monetario”: le risorse da ridistribuire si stavano assottigliando mentre l'inflazione passò dal 6,08% del 1972 al 19,08% nel 1974. Ciò contribuì a giustificare l'adozione da parte delle Confederazioni e degli imprenditori, di un accordo come quello del '75 che introdusse il punto unico di scala mobile rivalutato per tutte le categorie e la sua trimestralizzazione.


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