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La rinascita della Confindustria nel dopoguerra


Nell'estate del 1943 l'ingegner Friggeri si fece promotore della convocazione dell'assemblea ricostitutiva della CONFINDUSTRIA: l'obiettivo era quello di giungere all'aggregazione di tutti gli industriali italiani in una grande organizzazione. A tal proposito compì un viaggio nelle terre del nord dove si rese conto delle profonde differenze politiche e sociali e della carica rivoluzionaria, pronta ad esplodere.
In queste aree erano forti le pressioni per ottenere gli aumenti salariali che incontravano l'ostilità degli ambienti romani. Le divisioni all'interno delle ricostituite Unioni industriali, inoltre, erano profonde: significativo fu il caso di Torino dove venne sottoscritto un accordo alla Fiat fra rappresentanze sindacali e commissario straordinario con il quale venivano concessi aumenti dei salari minimi del 50%, che determinò la rivolta della locale Unione. Da questa vicenda scaturì il convegno tra Unioni industriali e C.d.L. dell'ottobre 1945 in cui gli industriali settentrionali del nord  consentirono l 'introduzione della scala mobile sull'indennità di· contingenza del salario per favorire il ritorno alla tranquillità nelle aziende.

Nel novembre del 1945 fu stipulato un accordo (che fu esteso alle province meridionali· nel 1946) presso il Ministero del lavoro che istituiva la scala mobile e l'inquadramento delle
retribuzioni per zone e per gruppi merceologici. Le conseguenze furono due: la dinamica dei salari fu agganciata al costo della vita determinato dall'andamento dei prezzi di un paniere di beni e servizi, e vennero create le "gabbie salariali" ossia la suddivisione del territorio nazionale per aree e per settori merceologici, da cui ebbe origine il diverso costo del lavoro e le differenti dinamiche retributive, creando ulteriori squilibri tra nord e sud.
Questa ripartizione dipese dalle pressioni degli industriali del centro-sud che non volevano corrispondere i salari che le maestranze del nord avevano ottenuto in condizioni di emergenza postbellica: questo determinò, in particolare durante il boom economico degli anni '60, le forti migrazioni dal mezzogiorno verso il nord.
La ripartizione restò in vigore sino alla fine degli anni 60 (autunno caldo) quando i sindacati confederali ottennero il suo superamento.
Dal '45 in poi, la CONFINDUSTRIA ebbe il pieno riconoscimento come rappresentante dell'industria italiana. A conferma di questo ruolo, fu eletto come presidente l'armatore genovese A. Costa, un grande imprenditore settentrionale rappresentativo di quella oligarchia industriale che dominava il panorama delle imprese italiane. La sua vicinanza a De Gasperi gli consenti anche di influenzare le scelte economiche del paese.
Lo statuto della CONFINDUSTRIA fu varato nel 1946 a Milano e restò in vigore nelle sue linee essenziali sino alla riforma Pirelli del '70.
Dal punto di vista organizzativo si profilava un sindacato centralista che lasciava poco spazio alle federazioni e si riservava i poteri in materia sindacale. Le organizzazioni territoriali prevalsero su quelle di categoria. Ne]]'aprile 1947 nacque la CONFAPI, il sindacato della piccola impresa, poco rappresentata dalla CONFINDUSTRIA dove gli interessi della grande industria avevano un peso maggiore: la CONFINDUSTRIA cercò con successo di risolvere il problema creando un Comitato
centrale per la piccola impresa.
La dirigenza della CONFINDUSTRIA in questi anni ebbe una cultura liberi sta che si tradusse nel perseguimento di alcuni obiettivi: lo sblocco dei licenziamenti; contenimento dei poteri e successiva liquidazione dei consigli di gestione; rifiuto di ogni forma di programmazione e pianificazione economica; opposizione allo Stato imprenditore. Questo pose la CGII in sintonia col partito liberale rispetto all'avversione per il dirigismo statale (come era accaduto col fascismo) e nel sostegno per il libero mercato.
La CGII sviluppò un buon rapporto anche con Ia DC, sia per gli orientamenti personali di Costa, sia perché la DC, priva di una cultura economica moderna, condivise con la CGII la cultura economica liberale.

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