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Le 5 attività considerate non etiche

Le  5 attività considerate non etiche


1. Sfruttamento del lavoro minorile;
2. Corruzione;
3. Eccessive paghe dei dirigenti;
4. Manipolazione dei profitti aziendali;
5. Coinvolgimento delle università in attività commerciali.
1. Sfruttamento del lavoro minorile: la pressione competitiva porta alla diffusione di comportamenti non etici sul lato della domanda e su quello dell’offerta.
Per le famiglie dei paesi in via di sviluppo o sottosviluppati, le uniche alternative al lavoro minorile sono la malnutrizione e la morte (di fame). Per le imprese, invece, ingaggiare i bambini costa meno che assumere adulti; ingaggiando bambini le imprese possono così ridurre i loro costi ed il prezzo delle merci. I competitors dovranno così anche loro assumere bambini, pena l’estromissione dal business.
2. Corruzione: in alcune circostanze, le imprese traggono vantaggi dalla corruzione, soprattutto in termini di risparmio economico. In un mercato competitivo, quindi, ogni impresa tenderà a servirsi, in qualche modo, della corruzione per non essere estromessa dal business. Maggiore sarà la pressione di ridurre i costi, più pervasiva sarà la corruzione.
3. Eccessive paghe dei dirigenti: anche qui la competizione gioca un ruolo fondamentale, si cerca, infatti, di accaparrarsi i managers più talentuosi per far crescere l’azienda.
4. Manipolazione dei profitti aziendali: ossia, manipolazione della trasmissione dei profitti aziendali agli azionisti. Questa è una tecnica contabile che rappresenta un tentativo cosciente di manipolare la fiducia degli azionisti. Come al solito, anche qui la pressione competitiva gioco un ruolo fondamentale: la manipolazione della contabilità serve, infatti, a sostenere una più alta valutazione dell’azienda, attrae migliori dirigenti, lavoratori e nuovi azionisti. In una situazione di pressione competitiva, il mostrarsi in buona salute è centrale per la sopravvivenza dell’azienda.
5. Attività commerciali delle università: generano profitti ma intaccano gli standard accademici di ammissione; il porre l’attenzione su ricerche svolte puramente a scopo commerciale, sottrae risorse all’insegnamento ed alla qualità delle facoltà. Anche in questo ennesimo caso, è la pressione competitiva a farla da padrona: le università, infatti, necessitano di risorse per la loro missione di base e competono fra loro per l’istituzione di facoltà e l’iscrizione degli studenti ed il fatto di aumentare i loro profitti grazie ad attività commerciali, concede loro un vantaggio competitivo.

Tratto da RESPONSABILITÀ DEI MEDIA di Marco Cappuccini
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