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Il patto di stabilità interno


È la più grossa novità all’interno delle relazioni intergovernative che si è andata sviluppando all’interno del nostro paese. Noi da un lato abbiamo assistito ad uno sviluppo del decentramento nel nostro paese unitamente ad una crescita dell’autonomia politica delle amministrazioni locali però entrando nei vincoli del patto di stabilità e crescita stabilito dall’unione europea a partire dal trattato di Mastricht siamo costretti a rientrare nei vincoli di riduzione del debito e di controllo do alcuni limiti dell’indebitamento oltre che del livello d’inflazione che chiaramente non possono non condizionare anche le amministrazioni locali. Se è vero quello che abbiamo detto nelle scorse lezioni quando abbiamo parlato degli indicatori del decentramento e se noi andiamo a vedere la distribuzione di spesa pubblica fra livelli di governo (non considerando il comparto previdenziale) noi ormai abbiamo un livello di spesa pubblica in capo alle amministrazioni locali che supera il 50% (soprattutto se eliminiamo le spesa per interessi da parte dell’amministrazione centrale). Quindi questo vuol dire che se vogliamo controllare l’indebitamento e la crescita della spesa bisogna che anche le amministrazioni locali facciano la loro parte. Da un lato quindi abbiamo un problema di vincoli giuridici che derivano dalla nostra partecipazione ad un trattato internazionale (cioè quello costitutivo dell’unione europea) che prevede (nonostante alcuni allentamenti per la ripresa economica 2008-2010) l’obiettivo di non superare uno stock di debito pubblico rispetto al 60% del PIL e di non avere un indebitamento netto superiore al 3% del PIL ogni anno. L’Italia sfora molto soprattutto rispetto al primo livello e si è mantenuta invece più in linea rispetto all’indebitamento netto tenendo conto che negli ultimi 3 anni si era consentito lo sforamento del vincolo del 3% per la copertura delle perdite bancarie delle banche in crisi. Oltre al vincolo giuridico abbiamo anche un problema di funzione di stabilizzazione al cui interno vanno inserite le funzioni per esempio di controllo della finanza pubblica, questa è una tipica funzione del governo centrale che si deve occupare di stabilizzazione e redistribuzione e nello stesso tempo per occuparsi di queste due cose non può non intervenire nelle competenze di entrata e di spesa delle amministrazioni locali perché quando queste coprono più del 50% della spesa e quando queste vanno a finire nell’attività di redistribuzione c’è questo problema: per la redistribuzione da un certo punto di vista le stesse cose che abbiamo visto a proposito dei criteri di perequazione (garantire un livello di servizi minimi) non è che un aspetto delle politiche centrali della redistribuzione; per quanto concerne la stabilizzazione è chiaro che data questa rilevanza delle entrate e delle spese locali rispetto a quelle pubbliche si viene a creare un conflitto di interesse tra centro  e periferia perché ovviamente se solo il centro è obbligato a rispettare i trattati internazionali potrebbe succedere che le amministrazioni locali non se ne preoccupano e non si occupano di contribuire al raggiungimento di quegli obiettivi e dovrebbero lasciare solo in capo alle amministrazioni centrali. Invece il governo centrale deve controllare spese e entrate del governo locale perché questo è un obiettivo di interesse nazionale che non può generare una distribuzione asimmetrica delle responsabilità e in effetti questo è proprio quello che è avvenuto a partire dall’introduzione della moneta unica e nel 1998 per la prima volta si apre il discorso sul contributo degli enti sub-nazionali alla riduzione del deficit e al controllo dell’evoluzione della finanza pubblica ed in particolare alla riduzione del debito e al mantenimento dell’indebitamento netto al di sotto del tetto previsto ed è chiaro che per fare questo mantenimento è necessario anche uno sforzo delle amministrazioni locali. Questa è la logica di base che spiega il patto di stabilità interna che ha creato molte polemiche soprattutto per un discorso di natura processuale, viene chiamato “patto” ma non è stato un patto nel vero senso della parola cioè nel senso di un contratto firmato  tra la rappresentanza del centro e delle autonomie, molto spesso è stata un’imposizione unilaterale prevista senza nessuna consultazione delle leggi finanziarie prima e delle varie leggi sulla stabilità e la finanza pubblica intervenuti successivamente tutti gli anni e solo dopo sono stati un po’ aggiustati sulla base di continue e faticanti trattative. Quindi il patto di stabilità nasce per vincoli e obiettivi da parte dell’unione europea ma risponde anche ai criteri dell’assegnazione delle funzioni cha abbiamo visto all’inizio. Perché è chiamato Patto di stabilità INTERNO? Perché un vincolo esterno deve essere fatto rispettare fermamente con riferimento a tutti i conti delle amministrazioni pubbliche. Purtroppo i trattati internazionali vedono solo una firma da parte dei governi centrali quindi c’è una distribuzione asimmetrica delle responsabilità per il rispetto di quei trattati che sta in capo solo alle amministrazioni centrali. Quindi l’esigenza di coinvolgere e co-responsabilizzare le amministrazioni locali nel rispetto di quei vincoli deriva proprio da questo. È evidente che se anche le amministrazioni locali diventano co-responsabili di questi vincoli si potranno fare carico di una quota di riduzione del deficit e quindi questo vuol dire che anche loro dovranno aumentare maggiormente le entrate o ridurre di più le spese e non lasciare il discorso del raggiungimento di questi saldi in capo alle amministraz centrali.
L’indebitamento netto è rappresentato dal saldo di bilancio che è costituito dalla differenza tra le entrate finali e le spese finali (Sb). Sia entrate che spese finali sono misurate sulla base della competenza economica e non sui dati di cassa; in più entrate e spese finali (cioè non tengono conto delle voci di natura puramente finanziaria come ad esempio delle entrate dell’accensione di mutui e sul versante delle spese non si tiene conto delle spese a fronte dell’acquisto di attività finanziarie). Quindi l’indebitamento netto tiene conto solo delle entrate finali e non delle voci di natura finanziaria e quindi le entrate che abbiamo sono quelle tributarie mentre le spese finali tipiche sono quelle per il personale, per l’acquisto di beni e servizi. Se noi dovessimo fare una ripartizione dell’indebitamento netto sulla base delle amministrazioni locali sarebbe semplice cioè l’indebitamento netto generato in ogni amministrazione solo se non ci fossero i trasferimenti interni tra amministrazioni (ogni amministrazione avrebbe le proprie entrate autonome e le spese autonome e la differenza sarebbe l’indebitamento netto dell’ammin. Locale). Il problema è che [guardiamo il 2006] noi abbiamo l’indebitamento netto delle amministrazioni centrali prendendo la differenza tra entrate e spese finali e nelle spese finali del governo centrale abbiamo anche i trasferimenti agli altri livelli di governo e che sono al netto dei pochissimi trasferimenti che le amministraz. Centrali ricevono da quelle locali. Nel caso del 2006 sono – 58 miliardi di euro circa però le amministrazioni centrali erogano 163 miliardi di trasferimenti alle ammin. Locali e questo vuol dire che l’indebitamento netto delle amministr. Centrali sarebbe un saldo positivo, cioè un accreditamento netto di circa 105 miliardi; gli enti previdenziali avrebbero un indebitamento netto, se vediamo solo le loro entrate e spese finali (dove nelle entrate ci sono i trasferimenti dalle amministr. Centrali e che sono 73.978) e quindi se noi calcoliamo il loro contributo all’indebitamento netto dobbiamo togliere a quei 9.211 e diventa un indebitamento netto effettivo di – 64 miliardi. Le amministrazioni locali hanno un indebitamento netto di partenza di circa 17 miliardi a questo prò si aggiungono i trasferimenti netti che provengono dalle amministrazioni centrali e quindi andiamo a 105 miliardi. I totali per colonna si compensano a vicenda e l’indebitamento netto nazionale è 65 miliardi e questa è stata la ragione per cui bisogna calcolare i saldi di bilancio al lordo e al netto di questi trasferimenti e quindi il contributo all’indebitamento netto effettivo è negativo per enti previdenziali e amministrazioni locali e se vogliamo ridurre l’indebitamento netto bisogna intervenire su questi saldi di bilancio ed in particolare se vogliamo ridurre l’indebitamento netto effettivo dobbiamo quel 105 miliardi. Come si fa a ridurre l’indebitamento netto delle amministrazioni locali?o aumentiamo le entrate e quindi la pressione fiscale oppure si riducono le spese delle amministrazioni locali oppure si garantisce un mix di queste due politiche. Il problema è che l’amministrazione centrale dovrebbe essere interessata a ridurre il saldo di bilancio e quindi la differenza tra entrate e spese e non dovrebbe interessargli tanto una riduzione delle spese e delle entrate, per rispettare il principio autonomistico “tu fai come vuoi però mi devi dedurre il tuo saldo di bilancio di tot ogni anno”. Quando è stato introdotto nel 1998 si è deciso di ridurre il saldo di bilancio calcolandolo con certi criteri e con certi accorgimenti. La prima versione del 1999 è stata questa: si stabiliva un saldo di bilancio previsto dal patto di stabilità interna e poteva essere calcolata sulla base dell’ultimo saldo di bilancio e si diceva “se il tuo saldo di bilancio era – 100 allora me lo devi migliorare del 10%”. Il saldo di bilancio veniva calcolato con degli accorgimenti, ovvero,  si calcolavano le entrate totali al netto dei trasferimenti statali e poi le spese finali totali degli enti locali al netto delle spese in conto capitale e delle spese per interessi (per non colpire troppo il saldo e non colpire magari il mantenimento di un certo livello di investimenti). Rispetto a questa prima versione dopo il 1999 sono state apportate continue modifiche e questo ha creato problemi enormi in quanto l’impatto più dirompente delle politiche delle amministrazioni locali oramai negli ultimi anni è stato dato dalle regole del patto di stabilità più ancora che dai tagli o dalle riforme perché cambiando ogni anno hanno creato dei problemi molto vari. Ma cos’è che è cambiato? Da un’impostazione basata solo sul controllo dei saldi e che quindi lasciava un’autonomia alle politiche di entrata e di spesa delle amministrazioni locali, siamo passati ad un vincolo anche sulla spesa e in più anche sulle entrate cioè oltre a dare vincoli sui saldi si sono introdotti anche vincoli sulla crescita delle spese per cui è avvenuto che molti comuni che rispettavano ampiamente i saldi non hanno comunque potuto aumentare le spese perché avevano il tetto di spesa, nello stesso tempo si sono posti anche numerosi vincoli alle entrate perché si riteneva che il governo centrale dovesse garantire, oltre al rispetto dei parametri di Mastricht, di evitare un eccesso di pressione fiscale perché la politica fiscale nazionale era finalizzata alla riduzione della pressione fiscale. posto che le amministrazioni locali hanno funzioni così rilevanti in termini di spesa e quindi anche di entrate, si sceglieva questa priorità di politica economica nazionale veniva vista come una politica di stabilizzazione, sviluppo e controllo del ciclo economico e quindi riconducibili alle funzioni nazionali. In realtà vincolare la crescita delle entrate ha mortificato ulteriormente l’autonomia anche politica dei comuni. C’è stata una forte instabilità delle regole e degli ambiti di applicazione con un continuo cambiamento anche dei parametri utilizzati. Come viene gestito il patto di stabilità? La ragioneria dello Stato ogni 6-7 mesi chiede gli annullamenti dei bilanci e verifica chi sfora e chi no. Il patto prevede anche un sistema di incentivi e sanzioni sia come penalizzazioni sui trasferimenti sia come ulteriori vincoli. In genere il patto è stato rispettato. Guardando i risultati dei comuni per il 2009 per quello che concerne il rispetto del patto di quell’anno. Quell’anno il patto si doveva basare su un saldo di bilancio cha derivava dalla differenza tra entrate correnti e in conto capitale e spese in conto capitale, noi vediamo evidenziate in giallo i valori dei totali delle entrate però sotto c’è una voce “a detrarre”, questi sono gli aspetti tecnici che ogni sono cambiati, cioè molto spesso si è deciso di non tenere conto di alcune entrate e si spese che era sbagliato tenere nei saldi perché o erano solo entrate di natura contabile oppure erano entrate straordinarie (es. le entrate per fronteggiare gli eventi sismici in Abruzzo) lo stesso nelle spese dove si detraevano certi tipi di spese che non dovevano essere considerate per i vincoli del saldo. Si arriva così alle entrate finali nette e alle spese finali nette che generano il saldo finanziario (che è positivo e questo vuol dire che i comuni hanno garantito un saldo finanziario positivo dal quale possiamo detrarre le sanzioni ). Abbiamo un saldo positivo di 506 milioni di euro. Rispetto all’obiettivo programmatico annuale i comuni sono stati molto bravi e sono arrivati a più di 1 miliardo di euro di saldo. Guardando la % di comuni inadempienti per regione si vede che le regioni con più comuni hanno una % maggiore. Sono 12 anni che esiste il patto e la valutazione che si può dare è che c’è un grosso problema per la non costanza delle regole che vengono variate sia per quanto riguarda gli enti soggetti, gli aggregati monitorati, il tipo di obiettivo fissato (saldi, tetti di spesa, rapporto cassa/competenza), base di calcolo da usare per quantificare l’obiettivo ma in definitiva in tutti gli anni il patto è sempre stato rispettato. C’è una novità di cui si sta discutendo che è quello della regionalizzazione del patto di stabilità interno, cioè per ridurre la rigidità dei vincoli uguali per tutti i comuni è stato sostenuto di consentire di applicare a livello regionale utilizzando come vincolo aggregato regionale il montante del vincolo di tutti gli enti locali. Quindi se in una regione abbiamo alcuni enti che sono in grado di raggiungere un certo obiettivo mentre altri no allora sarebbe possibile a livello regionale scambiarsi questi vincoli tra comuni (sia con compensazioni verticali che orizzontali). Il coordinamento oggi in Italia è garantito dal sistema delle conferenze (conferenza stato-regioni e  conferenza stato-città e autonomie locali e conferenza unificata).
Prima di completare la parte  delle problematiche principale  del governo locale in Italia e fare una breve analisi della legge 42 riprendo il discorso del patto interno di stabilità. In questo contesto abbiamo parlato  della variabile dell'indebitamento netto. Vi riporto lo schema piu utilizzato dalla ragioneria dello Stato. L'indebitamento netto è una variabile che tiene conto dei vincoli  della comunità europea. E' un dato di competenza ed è calcolato dalla somma del saldo corrente, del saldo in conto capitale e del conto economico. E' il così detto saldo del conto economico sopra la linea. Tutto il discorso delle partite finanziarie invece entra in questa seconda partizione che identifica un fabbisogno dal punto di vista della copertura dei mezzi utilizzati per coprire (coprirli??? bho..ma come parla? Non lo sa fare), sostanzialmente con una variazione delle attività  e una variazione delle passività che è il cosi detto stato sotto la linea che in termini di cassa deve coincidere con il saldo di cassa sopra la linea. Questo è lo schema generale. La variabile utilizzata  nell'indebitamento netto all'interno del patto di stabilità cerca di ridurre i saldi che sono sostanzialmente un'addendo dell'indebitamento netto. In realtà non è così semplice perche come vi ho detto il saldo che si calcola in termini di stabilità negli ultimi regimi è un regime misto di competenza e di cassa.
Qual è il problema della sofferenza della gestione interna del patto di stabilità? Deriva dal fatto che le regole sono sempre modificate non solo di anno in anno ma messe in luce molto spesso nello stesso anno. Nel 2010 ci sono state due o tre modifiche. Voi capite che questo comporta una grossa difficoltà alle amministrazioni locali e questo ha comportato anche degli effetti positivi dal punto di vista della riduzione delle spese.
Le modifiche sono in ordine di enti soggettivi, aggregati monitorati, tipo di obiettivo fissato e alle basi di calcolo da usare per quantificare gli obiettivi.
Quindi ci sono stati due aspetti. Un aspetto positivo negli ultimi cinque anni in quanto sono stati gli obiettivi sono stati superati. L'aspetto negativo è che però appunto questa ha creato una grossa instabilità negli enti locali con una grossa difficoltà che si aggiunge a tutte le altre che abbiamo richiamato come l'incertezza del regime dell'avviamento dei servizi locali.
Rileggendo un po gli ultimi dati quello che viene fuori si può vedere come nel complesso c'è stato un grosso adeguamento degli obiettivi del patto dell'aggregato di provincie e comuni. E' interessante andare a vedere le differenziazioni regionali.  Ci sono solo due regioni in cui saldo negativo che non hanno rispettato è superiore al saldo positivo di quelli che lo hanno rispettato. Quindi c'è una Regione considerata come un aggregato unico che non avrebbe rispettato  il patto. Questo vale per la Lombardia e il Veneto per quello che concerne i comuni, solo per la Lombardia se consideriamo anche le provincie. Questo ha delle implicazione sul discorso della regionalizzazione dell'impatto interno di stabilità. C'è stata però, pure all'interno di un saldo positivo , una crescita di del numero dei comuni inadempienti. Questo è dovuto ad un certo allentamento delle regole che si è avuto nel corso degli ultimi anni. Cosa è successo? Noi abbiamo avuto una gestione del patto interno di stabilità. A partire dalla fine del 2008/2010 questo patto interno di stabilità ha messo degli rigide di spesa degli enti locali. Questo è virtuoso per gli equilibri di finanza pubblica ma la critica che si è fatta di questa politica è che tutto sommato questa politica restrittiva vive una fase debole rispetto a tutti gli altri paesi europei.  . La stessa corte dei conti sostiene che i vincoli non sono facilmente sostenibili e rendono difficile la programmazione degli enti nonché la loro gestione date le rilevanti differenze strutturali e gestionali. Questo perchè, da questo punto di vista rientriamo nelle questioni topiche del decentramento, si sostiene che è sbagliato mettere delle regole valide  per tutti per tutti gli enti presenti nel nostro paese. Quello che si sostiene è che a volte ci sono situazioni differenziate che potrebbero consentire una maggiore complessità del patto. Da qui è nata l'ipotesi di regionalizzare il patto. La regionalizzazione del patto in termini di stabilità può essere fatta considerando le aree regionali come un unico ente locale consolidato. Voi capite che se lo Stato dice che a me interessa che il Piemonte si riduca il saldo del 4% allora io (stato) non voglio imporre a tutti gli enti le stesse regole che tutti devono rispettare. Se qualcuno ha un esigenza straordinaria di investimento e magari non può destinare risorse e magari c'è altro soggetto che magari può spendere, ecco che consideriamo la possibilità di consentire degli scambi e chi meglio delle Regioni può gestire questo mercato di scambi? Ecco che sono nati delle prime ipotesi si regionalizzazione del patto consentendo due tipi di intervento delle regioni. Il primo che si basa sulla possibilità da parte delle regioni di cedere parte della propria capacità di spesa a vantaggio degli enti locali. Una regione che in base ai vincoli del patto potrebbe spendere x euro può comunque rinunciare una parte di questa spesa e la può rilasciare a favore degli enti locali più bisognosi. Questa si chiama compensazione verticale perche è una compensazione che si determina tra due livelli verticali di governo. L'altra strada è quella che consente gli scambi tra gli enti locali in cui gli enti in difficoltà possono raggiungere l'obiettivo ottenendo i margini degli adempienti (compensazione orizzontale). C'è stata una sperimentazione in alcune regione per esempio in Piemonte che ha dato dei risultati positivi perchè tutte queste compensazione sono state effettivamente fatte ma resta però un problema perchè il Mef per adesso le consente però con dei vincoli molto rigidi. Questa è la situazione in atto.
Oggi il patto da una certo punto di vista è diventata una nuova forma di controllo dell’attività degli enti locali, che si è sostituita alle forme di controllo tradizionale ad esempio come il controllo giuridico amministrativo, nel senso prima che prima della riforma costituzionale, sia le regioni che i comuni si vedevano controllata tutta l’attività amministrativa, c’era un sistema di controlli molto rigidi di tipo amministrativo, che oggi con la riforma costituzionale sono stati aboliti, però già qui vedete come a volte quello  che sembra uscire da una parte rientra dall’altra, nel senso che si dice che c’è molta più autonomia politica perche non ci sono più controlli, in realtà tutto questo è stato sostituito da questa forma di controllo finanziario, la cui espressione più immediata è il patto interno di stabilità e chiaramente è un tipo di controllo che vincola moltissimo l’attività degli enti locali.
Passando agli ultimi punti che volevo affrontare, cioè i grandi  nodi del  governo locale in Italia, sono nodi che ci sono e sono stati i presenti in moltissimi altri paesi, e poi una breve richiamo ai punti salienti della legge 42. Per quanto concerne questi problemi noi ne abbiamo evidenziati due, che poi si riagganciano ai discorsi che avevamo fatto, se vi ricordate quando abbiamo parlato del  ridimensionamento degli enti locali dal punto di vista analitico - teorico, cioè qual è l’ottima dimensione degli enti locali e a quali funzioni dobbiamo dare agli enti locali.

Tratto da SCIENZE DELLE FINANZE di Andrea Balla
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