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Sintagmatica di Metz e piano-sequenza



Metz elabora la grande sintagmatica a partire dal riconoscimento che il cinema non ha doppia articolazione e che è perciò differente dalle lingue naturali, ma attraverso l’equivalenza posta tra piani ed enunciati, o meglio tra piano ed “enunciato complesso di lunghezza indefinita” (e non dunque piano – parola); tale equivalenza è però spiegata nelle differenze tra linguaggio cinematografico e lingua, tra cui spicca il fatto che i piani non si definiscono per opposizioni paradigmatiche ma, nel film narrativo, entro i sintagmi della grande sintagmatica che li codifica; Metz distingue un livello preiconografico (il riconoscimento di una nave) ed uno culturalmente codificato (Corazzata Potëmkin o Rex), ma afferma che il simbolismo del film non deve nascere da un sistema culturale esterno, bensì dal film stesso.
Il piano-sequenza è tipico del nuovo film anni ’60, e serve anche a rendere larghe parti di film non tagliabili dai produttori, in una corrispondenza tra continuità diegetica e schermica, ed include in un’unica inquadratura una sequenza narrativa globale, sicché è definibile come “unità del racconto risolta in una inquadratura unica”, con inquadratura come “unità di ripresa compresa tra due ciak”, ma ciò pone problemi in quanto Nodo alla gola di Hitchcock, che appare un unico piano-sequenza, vede in realtà stacchi nascosti inevitabili, e si cerca perciò di definire il piano-sequenza come effetto voluto dal regista.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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